Martina Rossi morì per sfuggire allo stupro, sfregio della difesa dei condannati: la caduta fu anche colpa sua
Non c’è fine allo scempio e allo strazio che i due trentenni aretini continuano a infliggere alla memoria di Martina Rossi e al dolore dei suoi genitori. Per la morte della ventenne, che nell’agosto del 2011 precipitò dal sesto piano di un hotel di Palma di Majorca per sfuggire a una violenza sessuale, sono stati condannati in via definitiva a 3 anni, per tentato stupro, aretini Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, che alloggiavano nello stesso albergo della ragazza. Ma ai due, oggi trentenni, non basta ancora. E tredici anni dopo la tragedia. Un processo interminabile. E lo schiaffo in faccia ai genitori della vittima con la semi-libertà accordata agli imputati dopo appena due settimane di carcere, i loro legali hanno chiesto che il giudice civile del Tribunale di Arezzo – davanti al quale si svolge la causa per il risarcimento del danno – riconosca un grado di responsabilità della giovane studentessa ventenne di Genova nella caduta mortale.
Martina Rossi morta per sfuggire a uno stupro, i condannati: “Fu anche colpa sua”
Fu anche colpa sua, in sostanza, se scavalcò la ringhiera nella fuga e cadde nel vuoto. Una posizione processuale che il papà della vittima, Bruno Rossi, ha definito «aberrante». Uno sfregio – solo l’ultimo – quello che arriva dai due trentenni aretini e dalla loro difesa, che si traduce nell’ennesimo colpo che i due genitori di Martina hanno dovuto incassare, e che accresce inevitabilmente un dolore mai sil verdetto da quel maledetto 3 agosto 2011, resta sempre lo stesso: quello dell’ergastolo del dolore. Fine pena mai… E allora, anche oggi, quello che traspare chiaramente dalle parole del papà di Martina, è un’indignazione e una sofferenza senza consolazione.
Ancora uno schiaffo in faccia al dolore dei genitori. Il papà della vittima: «Aberrante»
Non solo. Perché di «aberrazione dal punto di vista giuridico», ha parlato in queste ore l’avvocato Alessia Baglioni, commentando la strategia della controparte. Insieme ai colleghi Luca Fanfani, Stefano Savi ed Enrico Marzaduri, la legale che assiste i genitori di Martina bolla come irricevibili le richieste della controparte. Richieste che arrivano come un altro pugno nello stomaco al papà di Martina Rossi, che sull’ultima vicenda giudiziaria intestata alla morte di sua figlia, dichiara anche: «Qualunque iniziativa stiano prendendo, sembra quasi che i due che hanno ucciso mia figlia, non meritino alcuna punizione. Ma questi ragazzi devono rispondere anche sul piano civile dopo che dal punto di vista penale le responsabilità sono già state appurate. Ma mia figlia è morta. La mia sensazione è che vengono fatti questi tentativi quasi come non fosse successo niente».
«Si comportano come se non fosse successo niente. E continuano a mentire»
E ancora. «Si comportano come se non fosse successo niente. E continuano a mentire – prosegue Bruno Rossi sulla Nazione –. Ci sono responsabilità oggettive che provano a introdurre, come se non ci fossero stati undici anni di sentenze e mia figlia non fosse stata ammazzata da questi due». Nel procedimento civile aperto al Tribunale di Arezzo, la famiglia della ragazza ha chiesto ai due condannati il risarcimento danni di un milione di euro. Ma gli avvocati di Albertoni e Vanneschi hanno avanzato l’istanza di una nuova perizia sulla caduta: secondo i legali ci fu un grado di responsabilità di Martina nello scavalcare la ringhiera del balcone per sfuggire alla violenza sessuale e poi precipitare. Il giudice si è riservato la decisione.
Caso Martina Rossi, il punto sul procedimento civile
Una seconda perizia, scrive La Nazione, è stata chiesta per stabilire la corresponsabilità nella caduta a causa della balaustra, ritenuta troppo bassa. Anche in questo caso il giudice deve sciogliere la riserva. Intanto, Albertoni e Vanneschi sono in carcere dove scontano la pena in regime di semilibertà.