Giorgia erede di Silvio? Una leader con molti padri nobili ma senza bisogno di imitare nessuno

26 Gen 2024 9:46 - di Annalisa Terranova

Interessante la lunga intervista di Marcello Dell’Utri al Foglio su Silvio Berlusconi e il trentennale della fondazione di Forza Italia. Vi traspare la nostalgia dell’amico sincero e la saggezza del politico navigato. Una parte riguarda anche Giorgia Meloni, quella dove Dell’Utri la giudica possibile erede del Cavaliere e ipotizza un nuovo predellino. “Se Silvio fosse ancora qui tra noi suggerirebbe a Meloni di fare un partito unico del centrodestra“.

Si potrebbe obiettare che l’esperimento è già stato tentato e non è andata proprio benissimo. E si potrebbe anche far notare che in Fratelli d’Italia è già in atto una trasformazione da partito identitario di destra-destra in rassemblement conservatore con porte aperte a chi crede nel progetto. Fitto e Tremonti, tanto per non fare nomi, vengono dal perimetro berlusconiano, così come il ministro Eugenia Roccella.

Quanto alle eredità è bene precisare alcuni elementi. Un giornalista di lungo corso come Gino Agnese ebbe a dire una volta, in privato, che Berlusconi era una delle menti più geniali che avesse mai incontrato. Innegabile però che in lui prevalesse l’uomo del fare più dell’uomo di pensiero. Concretezza, realismo, fastidio per lo schematismo ideologico sono stati ingredienti essenziali del suo successo. Ma il suo fu un partito-azienda, e poi partito-contorno. Un partito che faticosamente sta cercando una rinnovata fisionomia facendo a meno di un accentuato leaderismo.

Giorgia Meloni non può essere l’erede di Berlusconi perché è modello a sé. Non solo e non tanto perché donna che si afferma in un ambito politico dominato da maschi ma soprattutto per il suo essere underdog. Lei è una leader che trasforma gli svantaggi in vantaggi: la provenienza da un mondo politico ghettizzato l’ha fatta diventare un punto di forza. E’ come se ogni volta dicesse: se sono arrivata fin qui, se gli italiani mi hanno portato fin qui, vuol dire che non sbagliavo io a stare in quel mondo ma sbagliavate voi a ghettizzarlo. Viene dalla militanza e non teme l’accerchiamento. Anzi, si ha l’impressione che gli attacchi la rafforzino. Ha infine una tradizione ideologica alle spalle  che non si nutre solo di battute sull’anticomunismo. Tutto ciò la rende differente da Berlusconi e fa anche sì che non avverta la necessità di “inchini” a nessun salotto, a partire da quelli di sinistra. Quando dice che le carte le dà lei, dice implicitamente che non ci sono più esami da superare.

Una volta, durante lo scontro con Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi disse una cosa sgradevole – sicuramente dettata dall’ira ma certamente conforme alla sua convinzione di avere sdoganato i “fascisti” – e cioè che lui era stato come la fata madrina che aveva trasformato la zucca – cioè la destra – in un cocchio d’oro. Ebbene Giorgia Meloni non cammina più dentro questo racconto favolistico. La sua fata madrina non è stato un tutor potente ma la fiducia degli italiani. Insomma Meloni è Meloni. Unica e inimitabile. E Berlusconi era Berlusconi. Anche lui unico e inimitabile. Lui senza eredi. Lei senza bisogno di avere un padre nobile (ne ha diversi in verità, ma questo è un altro discorso).

Differenze sostanziali anche nel racconto in cui i due si identificano. Berlusconi amava l’Elogio della follia di Erasmo, perché in esso trovava lo spirito visionario dell’innovatore che ha pervaso il Rinascimento. Meloni si è paragonata al nano Gimli del Signore degli Anelli, le piacciono le sfide impossibili. E le capita di vincerle.

 

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