Militare italiano morto a Herat, chiesta la condanna per due commilitoni: “Simularono un suo malore”

18 Dic 2023 18:15 - di Marta Lima

La procura di Roma ha chiesto di condannare due militari italiani accusati di omicidio colposo per la morte di Francesco Positano, caporalmaggiore dell’esercito morto ad Herat il 23 giugno 2010 durante una missione di perlustrazione. Il soldato morì schiacciato da un mezzo blindato militare, Buffalo, durante una missione di pace in Afghanistan. Il pm Erminio Amelio, davanti al giudice monocratico di Roma, ha sollecitato la condanna a 5 anni per Matteo Rabbone, autista del mezzo, e per Vincenzo Ricciardi, ufficiale responsabile del plotone.

Il militare era morto cadendo da un blindato

Amelio nella sua requisitoria durata oltre 7 ore, ha sottolineato come dopo l’incidente fu redatta una ‘’relazione scandalosa dai responsabili militari di allora, hanno nascosto e stanno nascondendo la verità. Hanno riferito che Positano cadde dal blindato perché colpito da un malore. La famiglia però non si è arresa e ha intrapreso la battaglia per ottenere giustizia, non avendo alcun supporto o riconoscimento dall’esercito. La madre di Positano cercava la verità ma ha avuto solo porte sbattute in faccia’’.

Il pm ha evidenziato come poi si sia scoperto come sono andati i fatti. E cioè che il militare sarebbe sceso dal Buffalo per controllare il mezzo e poi investito dal blindato: circostanza questa che non sarebbe accaduta se il motore non fosse stato lasciato acceso e si fossero rispettate le regole previste nei manuali.

La necessità di non allarmare su un ennesimo incidente?

‘’Pochi giorni prima di questo incidente c’erano stati altri morti fra i militari italiani, a causa di attentati con ordigni, un’altra vittima non si poteva accettare, l’opinione pubblica non ne poteva più – ha proseguito Amelio – e l’esercito non si voleva più sobbarcare altre critiche. Qui però la morte è avvenuta per una grave falla’’ ha sottolineato il pm facendo una similitudine col caso di Stefano Cucchi: ‘’Hanno tentato di mettere una toppa per chiudere il buco, i militari non potevano dire ‘siamo noi i responsabili’’’ .

Il rappresentante dell’accusa, ricordando le testimonianze in aula ha parlato di una ‘’vera e propria attività di depistaggio in senso lato per un malinteso spirito di corpo. Ci sono stati testi reticenti e testi che hanno raccontato bugie, tanto da finire sotto inchiesta, per alcuni è scattata la prescrizione e per altri l’archiviazione. Ma la tragedia successa a un loro commilitone – ha concluso Amelio –  sarebbe potuta accadere a loro’’.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *