Dalle “ombre” sulla sentenza Landolfi alla riforma frenata dai giudici. Dibattito in “casa Pannella”

14 Dic 2023 19:20 - di Luca Maurelli

“Il caso Landolfi racchiude in sé tutte le patologie del sistema giudiziario italiano”, sintetizza il giornalista Alessandro Barbano, che dà le spalle, non a caso, ai tanti Marco Pannella che dominano il salone della sede del Partito Radicale proiettando sugli ospiti le diverse espressioni delle sue battaglie contro il “sistema”: imbavagliato, con Enzo Tortora, sudato mentre urla, trascinato via a forza da un’aula parlamentare o sorridente mentre abbraccia il Dalai Lama e sfida il regime cinese.

Landolfi nel piccolo “regno” del garantismo di Marco Pannella

Pannella non c’è più ma il suo carisma si tocca con le mani, lì dentro, nella storica sede di Torre Argentina, e infonde coraggio perfino a chi sembrava rassegnato ad arrendersi alla “giustizia” che sa essere “ingiusta”, come avrebbe detto il leader radicale: come prova a fare, ancora oggi, Mario Landolfi, politico immolato sull’altare di una sentenza che sembra fare acqua da tutte le parti. Tracima contraddizioni, quella sentenza – secondo i legali dell’ex ministro – che, pur escludendo la matrice mafiosa, lo ha condannato per un reato di corruzione imperniato su una fragile e contestatissima versione di un pentito a cui i magistrati hanno creduto. Contraddizioni che il senatore Maurizio Gasparri, collega di politica, di militanza e di governo di Mario Landolfi, ha srotolato sotto gli occhi del ministro della Giustizia Carlo Nordio in due interrogazioni parlamentari su quel processo che di fatto ha chiuso prematuramente la carriera politica dell’ex ministro delle Comunicazioni e giornalista del Secolo d’Italia.

Gasparri e la risposta di Nordio alla sua interrogazione

“Ma noi siamo ancora qui, a ragionare, a chiedere giustizia, perché le sentenze si rispettano ma si possono criticare, come il comportamento dei giudici, su cui Pannella organizzò un referendum sulla responsabilità civile poi disatteso dal Parlamento: siamo qui a denunciare quelle che consideriamo delle abnormità giudiziarie”, dice  Gasparri, che si dà il cambio con Landolfi (che arriva in ritardo a causa di un piccolo malore da stress che scherzosamente attribuisce ai giudici che gli vogliono male..) nell’incontro organizzato lunedì scorso nella sede del Partito Radicale.

Accanto a loro, Alessandro Barbano, che oggi è forse il più autorevole e imparziale censore delle zone d’ombra correntizie e militanti della magistratura, il “Travaglio” al contrario, non grillino, non disposto a prendere per oro colato le difese d’ufficio dei giudici perfino dopo le rivelazioni di Palamara e gli scandali che hanno travolto il Csm. Barbano parla del “pentitismo” come di una pericolosa scorciatoia che da strumento d’indagine è diventata un’onda in grado “di travolgere e surclassare l’accertamento della verità”. Come accaduto, a suo avviso, per il “caso Landolfi”, su cui prende posizione anche il segretario del Partito Radicale Transnazionale Maurizio Turco, presente all’incontro.

La rinuncia alla prescrizione e la fiducia nella giustizia

L’ex parlamentare di An era stato accusato e i condannato a due anni  – dopo “soli” sedici anni… – per aver corrotto un consigliere comunale allo scopo di salvare la giunta di centrodestra di Mondragone, nel Casertano ad un mese dalla scadenza naturale, facendone assumere la moglie per tre mesi in una società mista: accuse sulle quali Landolfi si è sempre dichiarato estraneo, convinto che non vi fosse uno straccio di prova, e anche di propria utilità, in quella vicenda incardinata sui balbettìi di un pentito, tanto da rinunciare alla prescrizione sin da quando sull’ipotesi di reato gravava il macigno dell’agevolazione mafiosa.

Il dibattito, moderato dalla giornalista del “DubbioSimona  Musco, che per prima aveva ripreso in mano le carte del filone d’inchiesta parallelo a quello di Cosentino, quando i riflettori mediatici si erano lentamente offuscati, ha offerto molti spunti di riflessione sul rapporto politica-magistratura, quanto mai attuali e inestricabili, con una riforma della giustizia già minata dalle bordate dei giudici esternatori. “Ma la riforma si farà! Col punto esclamativo, non interrogativo”, assicura Gasparri, che aveva interpellato il Guardasigilli il 12 ottobre sul processo Landolfi, evidenziando come «il tortuoso iter logico- argomentativo seguito dai giudici di primo grado per emettere la sentenza… abbia come fine esclusivo la preservazione della credibilità del collaboratore di giustizia, impegnato come teste anche in altri processi istruiti dalla procedente Dda, nonostante le vistose falle del suo narrato». Interrogazione, però, sulla quale Nordio si è tenuto generico nella risposta alla richiesta di azioni disciplinari a carico dei magistrati.

Si spengono le luci lì sul palco…

Gasparri un po’ ci è rimasto male, e figuriamoci Landolfi, ma il capogruppo al Senato di FI spiega: “Massima stima e fiducia in Nordio, sia chiaro, anche se speravo in una risposta nel merito, non sui principi generali a tutela dell’operato dei giudici, ecco perché ne ho presentata un’altra”.  E Landolfi chiosa: “La riflessione più dolorosa di questi anni? Quando sei sulla pubblica ribalta della politica, le luci dei media quasi ti accecano mentre ti difendi dalle accuse di un’inchiesta, poi accade qualcosa: su di me, una volta uscito dalla prima linea della politica a causa dell’inchiesta che mi riguardava, quelle luci si sono lentamente affievolite, come se non fosse più così importante parlare del mio caso, perfino della mia sentenza. E quando si spegne la luce, non è mai un bene nella giustizia…”.

L’audio integrale dell’incontro 

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