Un emulo del comandante Todaro guidava l’U-boot 156. Si chiamava Hartenstein. Una serie tv ne racconta le gesta

7 Nov 2023 18:04 - di Vincenzo Fratta
comandante Todaro

Il film Comandante è da qualche giorno nelle sale italiane e sta riscuotendo un buon successo di incassi.  Quando il film di Edoardo De Angelis fu presentato a Venezia sottolineammo che si trattava di una pellicola anticonformista, dove l’eroe — il comandante di sommergibili Salvatore Todaro, interpretato da un bravissimo Pierfrancesco Favino» — è un militare italiano e per giunta fascista.

Un tema, dicevamo, particolarmente irritante per le paranoie progressiste ma anche per tutti i paladini del pacifismo tout court, per i quali l’espressione «virtù militari» è una contraddizione in termini.

Evitando di affrontare la tematica legata alla guerra e alla figura dell’eroe, la stampa di sinistra aveva infatti «rovesciato il tavolino» associando il recupero dell’equipaggio della nave affondata dal Comandante Salvatore Todaro al salvataggio dei migranti in partenza dal Nord Africa verso le coste italiane, facendone un’occasione per attaccare il governo.

Alcuni giornali hanno letto il film in chiave anti-tedecsa

Parlando di Comandante alcuni giornali si erano spinti oltre, cogliendo l’occasione per ostentare la propria germanofobia che consiste nell’appiccicare ai tedeschi ogni male del mondo.

In ossequio a quella che Lucio Caracciolo nel suo ultimo libro La pace è finita chiama reductio ad hitlerum, ci ricordavano che l’ammiraglio Karl Dönitz, comandante della flotta sottomarina del Reich, avrebbe affermato che un ufficiale tedesco non si sarebbe mai comportato come il comandante Salvatore Todaro. Todaro avrebbe risposto, con una frase riferita da diverse fonti e rimasta celebre: «Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà alle spalle».

Secondo altre fonti, Karl Dönitz avrebbe successivamente avuto una conversazione privata con Todaro in cui gli avrebbe detto: «Sono sempre in disaccordo con voi, ma vorrei tanto poter dare degli ordini perché tutti fossero in grado di comportarsi come voi».

Sul contraddittorio tra i due militari non siamo in grado di andare oltre il condizionale, ma quel che sappiamo di certo è che ci sono stati altri valorosi militari che si sono comportati come l’ufficiale italiano. Vogliamo qui raccontare la storia di uno di questi valorosi che, guarda caso, è proprio un comandante tedesco di sottomarini.

L’affondamento del Laconia

Il 12 settembre del 1942 il mercantile armato britannico Laconia, fu affondato a largo delle coste dell’Africa occidentale dal sottomarino tedesco U-156 comandato dal capitano di corvetta Werner Hartenstein.

Sulla nave erano imbarcati 463 ufficiali e uomini di equipaggio, 286 militari inglesi in qualità di passeggeri, 1.800 prigionieri di guerra italiani reduci da El Alamein, molti dei quali feriti, 103 guardie polacche e 80 tra donne e bambini.

Dopo aver colpito il Laconia ed essere emerso, l’U-Boot tedesco si avvicinò ai naufraghi per fare prigionieri gli ufficiali più alti in grado, ma l’equipaggio si accorse che tra i naufraghi vi erano numerosi soldati italiani.

Avvertito della cosa l’ammiraglio Karl Dönitz diede ordine di salvare i naufraghi, allertando contemporaneamente alcune unità italiane e tedesche affinché facessero rotta verso il luogo dell’affondamento.

Accorsero due U-Boot tedeschi — U-506 e U-507 — mentre il sommergibile italiano inviato per coadiuvare i tedeschi nelle operazioni di salvataggio fu proprio il Cappellini, ormai non più comandato da Salvatore Todaro ma agli ordini del tenente di vascello Marco Revedin.

Il comandante Werner Hartenstein comunicò al comando nemico lo svolgimento dell’operazione di soccorso e fece stendere sul ponte una bandiera di 4 metri con una croce rossa.

Contro l’U-Boot le bombe degli Alleati

Nonostante ciò, dopo alcuni sorvoli di ricognitori nemici, un aereo Alleato sganciò una prima bomba che cadde a circa 200 metri dal sommergibile.

Immediatamente la fune di rimorchio fu tagliata e venne ordinato ai naufraghi in quel momento in coperta di gettarsi in mare, mentre altre quattro bombe vennero lanciate sul sommergibile, di cui una produsse lievi danni prima che l’U-Boot riuscisse ad immergersi.

Dopo l’accaduto anche all’U-506 ed all’U-507 venne trasmesso l’ordine di tenersi pronti ad abbandonare i naufraghi in caso di attacco aereo, ma le due unità tedesche, il 17 settembre, incrociarono due navi francesi l’Annamite ed il Gloire, che poterono raccogliere i superstiti, mentre, il 18 settembre, il Cappellini raggiunse il cargo francese Dumont d’Urville, trasbordando tutti i naufraghi ad eccezione di due ufficiali inglesi tenuti prigionieri.

Al termine delle operazioni di salvataggio, si contarono tra i 1.600 ed i 1.700 morti per la gran parte soldati italiani.

A seguito di questa vicenda Karl Dönitz emanò il Triton null, un ordine che ribadiva ed irrigidiva il precedente ordine permanente n.154, in base al quale gli U-Boot non dovevano prestare soccorso ai naufraghi delle navi affondate.

Nessuna pietà per gli italiani

Nel 2011 l’episodio è stato ricostruito ne L’affondamento del Laconia, una miniserie in due puntate coprodotta da Gran Bretagna e Germania. Tra le drammatiche sequenze della nave squassata dalle esplosioni e degli uomini e donne che cercavano la salvezza due scene colpiscono in modo particolare lo spettatore: nella prima si vedono dei militari polacchi sparare sui prigionieri italiani che, rotte le gabbie della stiva nella quale erano rinchiusi, cercano di raggiungere il ponte per gettarsi in mare. La seconda, successiva scena, mostra i soldati inglesi che percuotono o tagliano le mani degli italiani che cercano di rimanere attaccati alle scialuppe di salvataggio, mentre una voce narrante descrive la scena.

 

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