Stupro a Priverno, parla la vittima: “Dopo la violenza, sei ore nuda in mezzo ai rovi. Mi dava la caccia…”
Lo stupro, raccapricciante, con tutto il l’orrendo corollario di percosse e minacce che un abuso sessuale implica. E poi il terrore della fuga, scattata approfittando di un attimo di distrazione del suo aggressore. Quelle ore nascoste tra i rovi della boscaglia, in mezzo a alberi e spine, dove ha cercato riparo dalla furia del suo aguzzino – un marocchino 22enne – che le ha dato la caccia per tutto il tempo. Nuda. Al freddo. Spaventata, ma motivata da un istinto di sopravvivenza e dal desiderio di tornare dalla figlia piccola, la sua «ragione di vita»…
Stupro a Priverno, il racconto choc della vittima
È la stessa vittima a raccontare, in uno sfogo social, l’incubo vissuto il primo novembre scorso a Priverno (Latina), quando al rientro da una serata trascorsa con gli amici, ha accettato un passaggio da quel conoscente che ha rivelato il manto del lupo sotto il pelo dell’agnello. L’ha portata con la forza in un casolare abbandonato, e certo che da lì le urla non sarebbero potute arrivate alle orecchie di nessuno, l’ha violentata.
«Dopo la violenza, 6 ore nuda tra le spine per sfuggirgli»
«Era un conoscente. Avevo fretta di tornare da mia figlia. Ho accettato il passaggio. E ho sbagliato. Ma solo per questo è stato giusto subire tutto ciò?», si chiede nel suo drammatico post, vergato tra dolore e rabbia, la donna che ha denunciato di essere stata stuprata il primo novembre a Priverno (Latina) da un 22enne di origini maghrebine, poi arrestato. Uno sfogo choc che la 30enne ha deciso di pubblicare sui social qualche giorno dopo l’aggressione, e che ha fatto ben presto il giro del web.
Lo sfogo social: «Ho sbagliato accettando il passaggio. Ma solo per questo è stato giusto subire tutto ciò?»
«I suoi urli, la sua violenza carnale, i suoi pugni in testa…ho reagito nel momento in cui ero sicura di non sbagliare e di riuscire a scappare. Ho sopportato il freddo nuda sei ore in mezzo alle spine e agli alberi per non farmi trovare. Perché mi ha cercata per ore. Quando non mi ha più cercata. E quando sentivo che il mio corpo non si muoveva più perché intorpidito dal freddo e dallo choc, pur di trovare un uscita sicura dove poter chiedere aiuto, mi sono portata avanti al petto tutti gli alberi. I rami e le spine, camminando al buio pesto. Sapete perché? Per tornare da mia figlia! La mia unica ragione di vita».
L’orrore dell’abuso sessuale, il terrore della fuga
«E per sei interminabili ore bloccata li – prosegue il post – non ho mai dubitato che sarebbe andato tutto bene. Ho il corpo ricoperto di ferite ma non è stato nemmeno un pizzico rispetto al dolore della lontananza di una madre dalla propria figlia. Non sono io che mi devo vergognare! Ma quell’essere, che credeva che avrebbe schiacciato una donna. Forse è riuscito a farmi del male – conclude la vittima nel suo drammatico racconto – ma non conosceva la forza di una mamma. E questa frase la dedico a lui: non ti farò vincere nemmeno un giorno di più regalandoti la mia tristezza o il mio dolore».