Medico di famiglia festeggiò la pensione rompendo il telefono: «Sono tornato a curare»

22 Nov 2023 17:16 - di Liliana Giobbi
medico di famiglia

Aveva 35 anni di professione da medico di famiglia. Poi, nella drammatica esperienza del Covid il telefono – con le oltre 50 chiamate al giorno da parte dei pazienti -gli aveva fatto dire addio alla professione, con 4 anni in anticipo. Ugo Gaiani, dottore di Guastalla (Reggio Emilia) per “festeggiare” la pensione, nel luglio, scorso aveva distrutto l’apparecchio telefonico in piazza con il sottofondo della canzone di Mina “Se telefonando”. Un atto che aveva poi fatto il giro dei media.

Il medico di famiglia e quel gesto “liberatorio”

«È stato un gesto nato un po’ per scherzo, prima di un brindisi con gli amici, fatto per me, non certo perché diventasse mediatico come poi è diventato. Ma di sicuro nasceva dall’esasperazione per il modo in cui si era trasformato il lavoro con gli assistiti», dice il medico di famiglia all’Adnkronos. «Oggi lavoro in un hospice, senza telefono e senza burocrazia, in una situazione in cui il rapporto con il paziente è al centro. E le cure che offro hanno un riscontro evidente. Mi risento davvero medico».

«Cinque ore di telefonate e un’ora per le mail»

«Il mio modo di lavorare è stato sempre diverso», continua Gaiani. «Ho sempre usato nelle comunicazioni con i pazienti il telefono fisso con segreteria telefonica, quello che poi ho distrutto, mai il cellulare. I pazienti mi lasciavano messaggi, in media 40/50 al giorno, li ascoltavo e li chiamavo uno per uno. Con circa 6 minuti di conversazione per ciascuno. Trecento minuti al giorno, 5 ore di telefonate e un’ora per le mail. E questo capitava 5 giorni a settimana. Fortunatamente non ero abituato a usare Whatsapp». Una situazione che, alla lunga, è diventata fortemente stressante.

«Ci dicevamo “passerà” e invece…»

«Si parla di burnout quando un lavoratore è sottoposto a tanto stress per troppo tempo. E quel troppo tempo, per quanto mi riguarda, si riferisce soprattutto al post pandemia», racconta il medico di famiglia. «Durante le prime fasi pandemiche, infatti, io e i miei colleghi ricevevamo anche più telefonate. Ma era una situazione “normale” in emergenza. Ci dicevamo “passerà”. Questo non è successo, anzi: i pazienti hanno cominciato a trovare normale chiamare alle 20 o anche più tardi. È passata l’emergenza, ma non è calato il numero delle telefonate. Questo è stato davvero molto stressante».

Da medico di famiglia al lavoro in un hospice

«La professione negli ultimi anni», prosegue, «è stata molto più dura per me. In alcuni momenti della giornata non facevo in tempo a mettere giù la cornetta che il telefono suonava. Ho passato intere giornate in cui sentivo squillare in maniera continua il maledetto telefono. È stato pesantissimo, anche se vedevo molti colleghi più giovani gestire con molta più tranquillità il rapporto col telefono. È nata così la decisione del “gesto liberatorio” l’ultimo giorno di lavoro, quando ho deciso di anticipare la pensione a malincuore perché contavo di andarci magari a 69 anni. Invece, sono andato a 66 perché letteralmente non ce la facevo più».

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