Il politicamente corretto colpisce ancora. Il Pd censura il Tg1: non si dice transessuale, è disumanizzante

10 Nov 2023 9:29 - di Alessandra Danieli

Non c’è limite alla furia linguistica del politicamente corretto, un’ossessione quotidiana che rasenta il ridicolo. Questa volta nel mirino del Pd, più esattamente di Alessandro Zan, padre del noto Ddl antifascista, è finito Tg1. Cannoni puntati contro  “TeleMeloni”, la nuova definizione dei compagni spiazzati dal nuovo corso dell’ammiraglia di viale Mazzini.

Zan (Pd) attacca il Tg1: è sessista

Il parlamentare dem, responsabile per i Diritti della segreteria Schlein, ha bacchettato il Tg1 delle 20. “Il servizio pubblico deve usare un lessico scientifico”, tuona in un tweet. “Sono “persone trans” non “i transessuali”, termine disumanizzante. È  “gestazione per altri” non “utero in affitto”. È inaccettabile nei Tg il lessico ideologico e discriminatorio usato dalla destra di tele Meloni”.

La furia del politicamente corretto

Ci risiamo con la guerra delle parole. Guai a sbagliarsi: se non si seguono i desiderata della sinistra si incorre nella scomunica per sessismo e discriminazione di genere. Proprio come sottolinea l’ultimo libro di Vittorio Feltri I fascisti della parola.  I sacerdoti del politicamente corretto stanno condizionando il dibattito pubblico, tanto da far sì che termini dal valore giuridico, affettivo e identitario, siano condannati come razzisti. Una mania avallata dall’Ordine dei Giornalisti che è arrivato a sanzionare chi usa la parola “clandestino”. Perfino migrante, un termine lecito pensavamo, è meglio sostituirlo con la locuzione “persona in movimento”, come vuole Medici senza frontiere.

Bandita la parola transessuale, meglio trans

Il  tweet accusatorio di Zan la dice lunga sull’ossessione che pervade le opposizioni alla ricerca di argomenti per il processo quotidiano al governo Meloni. In nome della religione dell’inclusività i sedicenti libertari vorrebbero imporre la dittatura della parola: un recinto spinato con dentro un lessico obbligatorio. Guai a uscire dal seminato per i combattenti della sinistra antipatizzante, quella con il complesso di superiorità bene descritta dal sociologo Ricolfi.

Il pallino dei nomi giusti e della censura

La smania del linguaggio politicamente corretto non risparmia nessuno. Perfino per uscire dalla crisi profonda del Pd l’unica ricetta che viene in mente è quella di cambiare il nome, un bel restyling del marchio (come vorrebbe il sindaco di  Bologna Matteo Lepore che propone il nome “Partito democratico e del Lavoro”) e il gioco è fatto. Per la cronaca, osserva oggi Libero, non è solo il Tg1 “sessista” diretto da Gian Marco Chiocci a sbagliare le parole. Ieri La Repubblica a pagina 23 titolava “Le trans potranno fare le testimone di nozze”. La Stampa, a pagina 19 faceva di peggio con “Trans e gay, la mossa del Papa”.

 

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