Gioielliere assassinato a Milano, al figlio 50mila euro dopo 10 anni. I legali: “Cifra irrisoria”
Cinquantamila euro. Tanto vale la vita di un padre ammazzato con 42 colpi di cacciavite? È l’indennizzo ottenuto dal figlio di Giovanni Veronesi, ucciso il 21 marzo del 2013 nella sua gioielleria nella centralissima zona Brera, in via dell’Orso. Delitto per cui venne condannato – prima all’ergastolo, poi a trent’anni in appello – Ivan Gallo; all’epoca disoccupato. Era stato licenziato dall’azienda che si occupava di gestire la videosorveglianza nello stessa bottega dell’orefice settantenne. Il gioielliere fu colpito brutalmente 42 volte con un cacciavite.
Massacrato a colpi di cacciavite, figlio e legali: “50mila euro cifra irrisoria”
Ora il figlio, in assenza di risarcimento dell’imputato, ha ottenuto dal giudice civile di Roma che lo Stato italiano liquidi 50mila euro come indennizzo alle vittime di reati violenti. Un cifra ritenuta “irrisoria” dai legali che assistono il figlio della vittima. Di qui l’annuncio del ricorso in Appello e alle Corti europee.
Gioielliere massacrato, l’omicida ritrovato in Spagna
Rievochiamo la triste vicenda risalente a dieci anni fa, nel marzo 2013. Il gioielliere fu colpito 42 volte con un cacciavite. L’omicida lavorava come tecnico ed era stato da poco licenziato dall’azienda che si occupava anche dell’impianto di videosorveglianza della gioielleria di Veronesi, nel quartiere Brera. Fu fermato dai carabinieri in Spagna dopo una fuga durata cinque giorni. Il giudice che lo condannò all’ergastolo in primo grado scrisse che “prima di essere catturato dalle forze dell’ordine”, l’uomo passò “le serate piacevolmente assumendo sostanze stupefacenti e dedicandosi ad attività ludiche”; addirittura facendo “progetti per il suo futuro”.
Il giudice: “Totalmente insensibile all’omicidio commesso”
Gallo si era “mostrato totalmente insensibile all’orrendo omicidio commesso”, dimostrando “assoluta indifferenza rispetto ai gravi delitti commessi”. Il movente era la rapina – si legge nella relazione del giudice- “con il desiderio di racimolare il denaro necessario a recarsi in Spagna in visita alla figlia”. Arrivato a Marbella, però, non si era “dedicato solo alla figlia – aveva precisato il giudice nelle motivazioni -. Un suo amico che vive là ha riferito a un comune conoscente che la sera in cui era arrivato era stato visto al porto ‘tutto fatto’ e mentre ‘giocava a freccette con un altro tossicone”‘. A incastrare Gallo era stato il telefonino di Veronesi.