Expo 2030, vince Riad. Massolo: “Deriva mercantile”. Ma c’è chi non vede l’ora di accusare Meloni
Roma non ce l’ha fatta: l’Assemblea generale del Bie ha scelto Riad come sede dell’Expo 2030 con 119 voti. Seconda è arrivata la sudcoreana Busan, con 29 voti. La nostra candidatura è arrivata terza, rimasta ferma a 17 voti. Altrettanti ne mancano all’appello: i delegati erano 182, hanno votato in 165, abbassando così anche il quorum dei due terzi per la vittoria al primo turno che era fissato inizialmente a 120. Si tratta senza ombra di dubbio di un risultato deludente, perché se è vero che Riad era ampiamente favorita, esisteva la speranza di poter spuntare il ballottaggio. Non è andata così, nonostante il poderoso sforzo messo in campo per sostenere la candidatura, al quale hanno collaborato tutti i livelli istituzionali, dal Governo al Comune, e il sistema Paese.
Il sostegno alla candidatura di Roma
La candidatura di Roma a Expo 2030 è stata lanciata durante il governo Draghi. Il testimone è stato poi raccolto da Giorgia Meloni, che da subito si è spesa con energia per portare a casa il risultato, fedele a quella linea di pensiero che ha esplicitato in questi giorni riguardo al Pnrr: non considerare alcuna impresa impossibile, perché “impossibile è la parola che usa chi solo chi non ha coraggio. Chi ha coraggio sa che le cose possono essere possibili se sono serie”. Talvolta, però, anche serietà e coraggio non bastano. Capita.
La rabbia di Massolo: “Vale il principio dell’interesse immediato, della deriva mercantile”
“Se questo è quello che sceglie, a stragrande maggioranza, la comunità internazionale, significa che la scelta va al metodo transazionale, non transnazionale. Vale il principio dell’interesse immediato, vale il principio della deriva mercantile”, ha detto il presidente del Comitato promotore, l’ambasciatore Giampiero Massolo, sottolineando che “è pericoloso: oggi l’Expo, prima i mondiali di calcio, poi chissà le Olimpiadi. Non vorrei che si arrivasse alla compravendita dei seggi in consiglio di sicurezza, perché se questa è la deriva io credo che l’Italia non ci debba stare”.
Scaccabarozzi: “Avevamo proposto dei valori, abbiamo imparato che contano altri valori”
Sostanzialmente dello stesso tenore anche la dichiarazione di Massimo Scaccabarozzi, presidente della Fondazione Expo che unisce il sistema imprenditoriale di Roma. “Avevamo una proposta basata su una serie di valori, ribadita anche nella presentazione con Bebe Vio che ha fatto un discorso straordinario, ma abbiamo imparato che contano altri valori”, ha detto all’Adnkronos, sottolineando la sua amarezza anche per il fatto che a Roma sia mancato il sostegno di alcuni Paesi europei. Un voto comprato? ”Non arrivo a dire questo, ma credo che questo voto dimostri, come sta succedendo anche per altre manifestazioni, che c’è un potere economico molto importante e ne dovremo tenere conto”.
La strumentalizzazione politica del voto sull’Expo
Come c’era da aspettarsi, l’esclusione di Roma, assai prima che se possano capire le ragioni profonde, ha dato il la ad alcune polemiche politiche, naturalmente cavalcate da chi ha contribuito ben poco a sostenerla, vuoi per mancanza di ruolo – sebbene fosse un appuntamento che ci riguardava tutti – vuoi per forma mentis. A ridosso del risultato si segnalano, in particolare, le prese di posizione del capogruppo di Italia Viva al Senato Enrico Borghi di Italia Viva, che se l’è presa tanto con Meloni quanto con Gualtieri; di Carlo Calenda, che se l’è presa tanto con Draghi quanto con Meloni (“Candidatura nata male e sostenuta peggio”); di Giuseppe Conte, che ha parlato genericamente di “amaro in bocca” e “rammarico” per un appuntamento che “sarebbe stato importante per il sistema Paese, ma purtroppo non siamo riusciti a farci valere e siamo addirittura scivolati al terzo posto”. Un detto non detto, probabilmente indirizzato dal fatto che Virginia Raggi era la presidente della Commissione capitolina speciale Expo 2030. Ora “non va persa la progettualità messa in campo”, ha commentato la stessa Raggi, che per inciso da sindaco rifiutò di candidare Roma per le Olimpiadi.
Il presidente della Ccia di Roma: “Rammarico, ma nessun rimpianto: tutti ce l’abbiamo messa tutta”
Di “rammarico” e “delusione” ha parlato, tra gli altri, il presidente della Camera di commercio di Roma, Lorenzo Tagliavanti, sottolineando però che “non abbiamo rimpianti: si è lavorato tutti insieme molto seriamente – Governo centrale, Istituzioni territoriali e sistema imprenditoriale – senza badare a interessi di parte, presentando un progetto ambizioso e credibile che aveva nell’inclusione, nella sostenibilità e nell’innovazione i suoi pilastri fondamentali”.
Da Barillari a Battista, a Roma si prende la sconfitta con filosofia (e un certo realismo)
A Roma, comunque, in molti l’hanno presa alla romana: senza farne un dramma e magari ridendoci su. Con una certa filosofia, insomma. “Vista la situazione attuale di Roma, dove i lavori dei mondiali di calcio del 1990 sono finiti l’altro ieri, si possono sempre ricandidare per il 2050, con le stesse promesse. Tanto io sarò morto per allora”, ha scherzato il comico Maurizio Battista, dicendosi “da cittadino romano” perfino sollevato. Si è affidato poi al realismo, non senza uno scatto d’orgoglio, il “re dei paparazzi”, Rino Barillari: “Certo, gli arabi hanno più soldi di noi, hanno il petrolio… Per fortuna che noi abbiamo il Papa e almeno il Giubileo a Roma non glielo toglie nessuno… Là gli arabi non possono farci nulla, si devono rassegnare!”.