De André cantò Via della Povertà e in una strofa comparvero Almirante e il sangue degli anni di piombo

29 Ott 2023 17:56 - di Lisa Turri
De André

Fabrizio De André inserì Giorgio Almirante nella canzone Via della povertà. Lo rivela oggi Alessandro Gnocchi sul Giornale parlando della prima tournée del cantautore nel 1975. De André si esibì alla discoteca Diedron a Oscasale, frazione di Cappella Cantone, comune di Cremona.

Il 1975: un anno insanguinato

Il 1975 fu un anno insanguinato. Sergio Ramelli, a Milano, viene ucciso a colpi di chiave inglese da un commando di Avanguardia Operaia. In aprile, il diciassettenne Claudio Varalli, militante di un gruppo di sinistra, viene ucciso a colpi di pistola da Antonio Braggion. 

De André cambia il testo di Via della Povertà e cita Almirante

De André nel suo concerto attacca Via della Povertà (traduzione di Desolation Row di Bob Dylan, dove tra l’altro è citato Ezra Pound). E “stravolge la traduzione originale (quella già finita nel disco). Inserisce una serie fulminante di riferimenti al periodo tribolato della storia d’Italia. La Cenerentola del testo originale diventa Giorgio Almirante. E in un’altra strofa il Papa Paolo VI prova a liquidare i conti con Enrico Berlinguer. Altra novità è il riferimento a Braggion”.

Il delitto Varalli nel testo cambiato di De André

Così dunque la strofa su Almirante: “Almirante sembra così facile/ogni volta che sorride ti cattura/Ricorda proprio Bette Davis /con le mani appoggiate alla cintura“. E a seguire: “Arriva Braggion trafelato e gli grida/ il mio amore sei tu/ ma qualcuno gli grida di andar via/ tanto ormai non serve più/ e l’unico suono che rimane/quando l’ambulanza se ne va/ è Braggion che spazza via il sangue/ da via della povertà”.

Antonio Braggion sparò per salvarsi la vita

Braggion sparò però per salvarsi la vita, particolare che De André non ha voluto ricordare nella sua improvvisata canzone che indulge alla narrazione sui “fasci cattivi”. Braggion è morto nel settembre 2018. Senza mai sapere, forse, di avere avuto l’onore di entrare in una strofa del grande De André. L’episodio lo racconta il giudice Carlo Maria Grillo, del tribunale di Cremona, presente a quel concerto del 1975 e che si fece dare da De André il testo scritto a mano della canzone cambiata.

Braggion è morto nel 2018

Dopo la sua morte fu sempre Il Giornale a ricostruire la vicenda oltre le bugie della propaganda di sinistra. la sua è la storia di un giovane di 22 anni che si trovò circondato dai militanti del Movimento Studentesco che tornavano da un corteo. Sparò a Varalli per legittima difesa.

“Quel che accade dopo – scrisse Luca Fazzo il 3 settembre 2018, dando notizia della morte di Braggion – è noto: sui giornali e nei volantini, l’uccisione di Varalli viene raccontata come l’agguato a sangue freddo di una squadraccia fascista e la città rossa insorge. Il giorno dopo, decine di migliaia di estremisti in assetto da guerriglia danno l’assalto alla sede del Movimento Sociale in via Mancini e alla caserma dell’Arma di via Galvano Fiamma. Mai si era vista prima, né si vide dopo, una simile massa d’urto abbattersi sulle forze dell’ordine. Sotto la pioggia delle molotov, carabinieri e polizia arretrano. In corso di Porta Vittoria un camion dei carabinieri investe e uccide Giannino Zibecchi, militante del Comitato antifascista del Ticinese”.

Come andarono davvero i fatti

“Fa una certa impressione – prosegue Fazzo – vedere oggi le foto dei due processi che dai fatti di piazza Cavour scaturirono. I protagonisti dell’assalto, i ragazzi del Movimento Studentesco – e tra loro si riconosce un imberbe Stefano Boeri – se ne stanno a viso aperto e quasi sorridenti sulle panche degli imputati, con le loro facce da Milano bene. Antonio Braggion è da solo, in gabbia, con il fazzoletto a coprirgli la faccia, per evitare che il suo volto venga ritratto e affisso per le strade sui manifesti «Wanted». Alla fine sia lui che i «rossi» uscirono dai processi indenni, tra amnistie e prescrizioni”. Braggion divenne in seguito avvocato ma si è tenuto sempre distante dai riflettori. “Non ha voluto diventare un simbolo, non è apparso, non ha voluto fare interviste. Nemmeno per dire la cosa più ovvia: che di quegli anni non c’è niente da rimpiangere”.

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