Tolkien fece tornare gli eroi e il mito in un mondo malato. Sangiuliano: le radici non gelano

2 Set 2023 10:14 - di Annalisa Terranova
Tolkien

“Il 2 settembre del 1973 cessava la vita di John Ronald Reuel Tolkien, scrittore, accademico e filologo, studioso accanito ma soprattutto creatore di mondi inventati nei quali, però, si realizzano valori eterni. Oggi è giustamente considerato una delle personalità più cospicue della narrativa mondiale, ben al di là del genere fantasy in cui più volte si è cercato di ‘recintare’ la sua opera”. Lo dichiara il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

“A distanza di 50 anni esatti dalla morte, la sua statura di autore è unanimemente riconosciuta. Fu un cattolico convinto che esaltò il valore della tradizione, della comunità e della storia cui si appartiene, un vero conservatore verrebbe da dire”, aggiunge il Ministro che conclude: “Penso che la sua opera apra il cuore alla visione di qualcosa che va oltre la prosaicità del quotidiano. Simboli universali e senza tempo, valori che ci sussurrano dentro. Tolkien riassume tutto con una celebre frase nel Signore degli Anelli: ‘Le radici profonde non gelano…’. Ha prodotto qualcosa di antichissimo e di nuovo allo stesso tempo, cioè una mitologia universale. I suoi libri, tradotti in decine di lingue, trasmettono generazione dopo generazione il valore della solidarietà umana, della difesa della comunità e dell’identità, oltre che della natura”.

Sono anche e soprattutto spirituali i contenuti delle opere tolkieniane, che giunse assai tardi al successo. Quando aveva ormai 65 anni, era vicino alla pensione e non vedeva l’ora di dedicarsi al Silmarillion, il libro che considerava più importante e più impegnativo. Chiunque si cimenti con gli eventi che hanno contrassegnato la vita di Tolkien resta colpito dall’ordinarietà della sua esistenza tranquilla, metodica, professorale, circondata da amicizie selezionate e la potenza fantastica dei mondi alternativi che furono il prodotto della sua sub-creazione.

Una vocazione che lo travolse, inaspettata e non cercata, quando mentre correggeva i compiti dei suoi allievi improvvisamente scrisse su un foglio: «In un buco sotto terra viveva uno hobbit…». Tolkien si dedicò alla mitologia perché, semplicemente, ne sentiva il bisogno. Certo l’infanzia non proprio felice di Tolkien deve avere avuto un peso notevole nella scelta di “rifugiarsi” in mondi fiabeschi e incontaminati. Tolkien aveva perso il padre all’età di soli quattro anni e fu l’adorata mamma Mabel a incoraggiarlo a leggere i grandi libri per l’infanzia ma anche lei, costretta a una vita di disagi dai parenti che non avevano gradito la sua conversione al cattolicesimo, si spense precocemente.

Tra gli autori che lo ispirarono ci fu il barone Dunsany, un accademico che nella seconda metà dell’Ottocento diede alle stampe una raccolta di brevi storie fantastiche e coniò un’espressione calzante per descrivere il genere di mondi in cui ambientava i suoi racconti: “al di là dei campi che conosciamo”, in luoghi dove le regole ordinarie e razionali non hanno più valore. Il secondo autore cui Tolkien fu debitore, soprattutto per quanto riguarda lo stile, è William Morris, che nei suoi romanzi trasferisce l’immaginario medievale mescolato a un mondo alternativo completamente creato da lui.

A partire dal 1914 Tolkien si cimenta con gli Elfi e le Terre Immortali, buttando giù il primo nucleo di quello che diventerà poi Il Silmarillion. Appunti e note che chiamava scherzosamente “le mie spiritosaggini con il linguaggio delle fate”. L’insegnamento prima a Leeds e poi a Oxford fu per lui un’ennesima, importante scoperta: divenne consapevole della sua capacità di trasmettere agli studenti la passione per la materia, la letteratura inglese, indagata con veemente efficacia. Entrava in aula silenzioso per poi declamare l’inizio del poema con le possenti parole del Beowulf dall’originale anglosassone. L’uditorio ne era completamente affascinato.

In quello stesso periodo ha inizio l’amicizia con C.S. Lewis, lo scrittore delle “Cronache di Narnia”, e la formazione del cenacolo lettarario degli Inklings, con le bevute al pub “Bird and baby” che è oggi meta privilegiata dei pellegrinaggi turistici dei cultori dell’opera tolkieniana. Ma Ronald non dimenticava la sua famiglia, scrivendo ai suoi quattro figli le Lettere di Babbo Natale che arrivavano puntualmente ogni anno a casa Tolkien dal Polo Nord, né esauriva nella sola scrittura la sua vena artistica: amava anche disegnare draghi, folletti e altre strane creature, immagini che vennero poi usate per illustrare Lo Hobbit. Ma furono gli anni Trenta e Quaranta i più creativi della sua vita, quelli in cui sbocciarono le idee che sono al fondo delle opere che gli procurarono una solida fama di scrittore. Il primo lettore de Il Signore degli Anelli fu proprio l’amico C.S. Lewis che lo salutò come un capolavoro enucleando, nella sua critica, gli elementi che avrebbero reso il romanzo un fenomeno mondiale: «Questo libro è stato come un fulmine a ciel sereno… In un’epoca quasi patologica nel suo antiromanticismo come la nostra, improvvisamente è tornato il romanzo eroico, fastoso, eloquente e audace…».

 

 

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