L’ironia della Meloni sul saluto romano con la mano sinistra fa impazzire “Repubblica”…
Ha scherzato, sul fascismo. Anatema! “Repubblica” non ha preso bene quella piccola gag della premier Giorgia Meloni in apertura dei lavori dell’assemblea nazionale di FdI, ieri a Roma, perché quella è roba seria, su cui non si può fare ironia, ammonisce il solito censore dei nostalgici Paolo Berizzi. Ma cos’è accaduto di così grave, al punto da meritarsi un puntuto articolo di “Repubblica”? La leader di FdI, ieri, in apertura dei lavori, ha accennato un saluto alzando la mano destra, ma poi, scherzando, ha cambiato subito lato, alzando il braccio sinistro e dicendo con un sorriso ”forse è meglio questo”, con un chiaro riferimento al saluto romano. Subito è partito l’applauso dei delegati, già presenti in sala, tra sorrisi e sguardi divertiti. Grave, gravissimo per il quotidiano romano…
Meloni e il saluto romano che non fa sorridere “Repubblica”
“Volendo giudicarla solo dal punto di vista della performance scenica — terreno sul quale Giorgia Meloni ha dato prova di sapersi muovere egregiamente — la gag sul saluto romano sarebbe quasi divertente. Alza un braccio, anzi no, meglio l’altro. Peccato che lo sketch preveda, da parte dell’autrice, l’evidente indisponibilità a considerare come minimo due aspetti…”. Ed ecco che Berizzi spiega dove sarebbe la gravità del gesto ironico, fatto nell’anno 2023 D. F. (dopo fascismo). “Ironizzare sul fascismo è sempre una scelta azzardata. A maggior ragione se guidi un partito che di quella tradizione è discendente a partire dal simbolo (fiamma e silhouette della bara di Mussolini). E che appena 4 anni fa celebrava con una cena a tema la marcia su Roma, che del fascismo fu il primordio… Come lei sa bene il partito di cui è leader è pieno di fascisti che il saluto romano lo fanno non per ridere….”. Ma è nel finale che Berizzi finalmente si scioglie, con un sarcasmo farmaceutico da scompisciarsi. “La sua gag sembra uno zigulì usato come farmaco per curare la malattia”. Una metafora da far invidia a Pablo Neruda.