A Civitavecchia il ricordo dei fratelli Augello: per Tony e Andrea la politica era il sogno di una comunità
“C’era una volta mio fratello“. Un libro commovente e lucido. Privo di retorica. Importantissimo per capire cosa è stata la destra missina prima della svolta del ’93-’94. Lo ha scritto poco prima di ammalarsi Andrea Augello, scomparso il 28 aprile scorso, in memoria del fratello Tony. Se ne è parlato ieri a Civitavecchia, dinanzi a una platea di oltre cento persone, per iniziativa dell’associazione Le 12 Querce, nata proprio allo scopo di raccogliere l’eredità dei fratelli Augello continuando un’opera di approfondimento culturale. Una serata dove non sono mancate le emozioni e dalla quale è emersa la volontà di non troncare una storia che è, soprattutto, storia di una comunità.
L’associazione Le 12 Querce continuerà l’opera culturale dei due fratelli
Francesca Notargiovanni, a nome dell’associazione, ha spiegato che proprio a Civitavecchia Tony Augello era stato consigliere comunale attivo e impegnato, lasciando ricordi indelebili, ed era dunque doveroso presentare proprio lì il libro del fratello Andrea. Tutti gli intervenuti hanno avuto parole di elogio e di rimpianto per la politica intesa come servizio, con guizzi creativi come quello che ha voluto ricordare Attilio Bassetti. Quando cioè Tony volle accogliere a Civitavecchia l’ambasciatore giapponese con un manifesto scritto proprio in giapponese in cui si avvertiva l’ospite di non fidarsi degli amministratori cittadini. Per Tony Augello infatti la politica non era arrivismo, non era “sangue e merda” come ebbe a dire Rino Formica, ma era anche divertimento, stile di vita, capacità di spiazzare l’avversario. Civitavecchia stava molto a cuore anche a Andrea, sempre pronto – ha detto l’assessore alla Cultura Simona Galizia – a fornire un suggerimento, un incoraggiamento e a spiegarci come “leggere un bilancio”, e anche “come scrivere un bilancio”, unendo ai valori la concretezza del fare.
La capacità di vedere prima degli altri come si evolverà la politica
Gli Augello erano fieri oppositori di quello che un tempo veniva chiamato “regime partitocratico” ma furono anche all’avanguardia nel progettare una destra di governo. “Nella parte finale del libro di Andrea – ha detto il giornalista Massimiliano Grasso – quando si accenna ai personaggi su cui Giorgia Meloni può contare per portare avanti una stagione di vero cambiamento, vengono citati nomi che poi entreranno a far parte del governo. Andrea Augello sapeva prevedere, come tutti i veri leader politici, quello che sarebbe accaduto”. I due fratelli – ha sottolineato Vicenzo Piso nel suo intervento – hanno saputo accompagnare, a Roma e non solo, l’evoluzione della comunità della destra, che aveva molteplici sfaccettature, dal ghetto dell’opposizione all’orizzonte della responsabilità di governo. Una storia che meritava di essere raccontata e che non merita di finire.
Una storia che non merita di finire
Roberta Angelilli, che ha portato il suo saluto all’iniziativa, ha tratteggiato i caratteri dell’azione politica di Andrea Augello, insistendo su un punto: l’attitudine a scegliere obiettivi ambiziosi, apparentemente impossibili, cercando di perseguirli con tenacia e coerenza, al di là del risultato finale. “La buona battaglia si fa lo stesso, anche se non è destinata alla vittoria”.
Anche altri aspetti emergono dal libro di Andrea. Ne ha parlato Annalisa Terranova nel suo intervento. “Questo libro ci dice molto del privato dei due fratelli, dei loro sentimenti, che vengono prima delle scelte politiche. L’immergersi nei racconti d’avventura, il sentirsi come i moschettieri di Dumas, l’aspirazione a compiere imprese inimitabili, tutto ciò che nutre le letture della loro infanzia, diventerà poi la cifra estetica del loro fare politica”. Non a caso Andrea Augello scrive di sentirsi “un Mercuzio in sedicesimo”, il personaggio di Shakespeare che si batte in duello per salvare l’onore di Romeo nella guerra tra famiglie a Verona. E questo vestire i panni di Mercuzio è una scelta che si compie quando Andrea va a prendere il fratello Tony che ha subito un pestaggio davanti a un liceo romano. Tony era ovunque dolorante e pesto, anche le mani sbucciate ferite. E allora – scrive Andrea – “lo presi per un mignolo” perché toccarlo in altre parti del corpo gli avrebbe procurato sofferenza. Una frase delicata, che dice molto del rapporto dei due fratelli e della volontà di Andrea di consegnare alla comunità che li ha visti crescere e diventare leader la sua ultima testimonianza prima di morire, perché questo è “C’era una volta mio fratello”. Scritto per esortarci a pensare di poter essere ancora protagonisti di storie degne di essere raccontate.