Banche, l’economista Guida: “Sono un oligopolio, è giusto l’intervento del governo”

22 Ago 2023 14:31 - di Redazione
banche

Riceviamo e pubblichiamo

di Roberto Guida*

Leggo con interesse il punto di Angelo Panebianco sul Corriere della sera che propone una svolta liberista del governo, finalizzata a liberare dai giochi corporativi settori del nostro paese non vincolati all’interesse nazionale restituendo così alla concorrenza ambiti di mercato ancora impropriamente “regolati”.

Il punto di arrivo del ragionamento, a parte i soliti scontati e semplicistici richiami alla cultura della destra sociale, mi pare condivisibile: rimuovere le barriere che non consentono di aprire a nuovi competitori quei servizi che potrebbero beneficiarne in termini di efficienza e prezzi, è cosa buona e giusta.

“In ogni Paese liberale c’è un controllo del sistema bancario”

Il tema come noto è parte di un’ampia letteratura economica del pensiero neoclassico che definisce l’extraprofitto (più noto nello specifico come sovraprofitto), citato da Panebianco come potenziale “pericoloso” feticcio semantico, come “l’eccedenza sul profitto normale frutto di un abuso di potere di mercato da parte delle imprese dominanti.” È questo il motivo per il quale i paesi che maggiormente si ispirano a logiche liberali sono estremamente attente non solo a mantenere un sistema di regole che favorisca la concorrenza, ma anche a creare Autorità pubbliche che abbiano il potere di intervenire in caso di fallimento del mercato. L’Antitrust è fra queste e agisce attraverso strumenti sanzionatori che nella sostanza seguono logiche simili alla tanto controversa “tassa sugli extraprofitti”.

“Ridotto negli anni il numero delle banche medie”

Peccato che tutto questo non possa valere per il settore bancario che soggiace ad una regolamentazione speciale in ragione del preminente interesse alla stabilità del sistema creditizio-finanziario. Ciò si traduce nell’impossibilità, fatto salvo per l’ambito della tutela del consumatore finale di prodotti e servizi finanziari, di realizzare una vera concorrenza sui prezzi tra le banche e cioè sul costo del denaro concesso in prestito. Ragioni di consolidamento e rafforzamento della loro solidità hanno ridotto negli anni il numero di banche medio-grandi, spingendo il settore verso un oligopolio regolato che non consente, almeno a certe condizioni, una reale mobilità della clientela e si traduce di fatto in quella posizione dominante ben nota agli studiosi di microeconomia.

In altro editoriale su questa testata ho fatto riferimento all’ipotesi di  comportamento opportunistico delle banche sui tassi di interesse attivi che pone un problema di intervento pubblico di riequilibrio ed equità. Ma correttamente eminenti colleghi eccepiscono che le principali banche del nostro paese sono imprese, per giunta quotate, ed agiscono finalizzando i propri comportamenti alla massimizzazione del profitto.

E allora come si concilia una giusta visione liberista e rispettosa del mercato con la tutela della concorrenza in un ambito, come quello del credito, dove le banche agiscono di fatto come degli oligopolisti? Come si può brandire la instabilità del sistema bancario e allo stesso tempo incamerare un sovraprofitto da posizione dominante nel mercato, attuando un palese comportamento opportunistico.

“Ripensare a logiche che mettano in dubbio l’idea di liberalizzare tutto”

E qui gli argomenti di Panebianco, partendo dalla contestata tassa sui profitti bancari, sembrano prendere come per eterogenesi dei fini una direzione non voluta. Nell’intento di dimostrare che il governo dovrebbe essere meno statalista e più liberale, finisce per cadere in contraddizione proprio sul tema del sovraprofitto delle banche, la cui genesi risiede nel peculiare assetto istituzionale del settore. Così facendo scoperchia il vaso di Pandora del (volutamente) dimenticato modello dell’economia “mista” che nel settore creditizio ha consentito al paese nel cinquantennio del dopoguerra di risolvere il conflitto di “interessi” tra banche e consumatori. Come si sono dimenticati i guasti che, in un recente passato, l’estensione alle banche di logiche di massimizzazione del profitto “a prescindere” ha fatto nella vendita alle imprese di strumenti finanziari derivati.

È forse arrivato il momento di ritornare a pensare a ciò che ha funzionato nell’organizzazione dell’assetto economico nella storia del nostro paese senza pregiudizi ideologici, spesso figli di un miope e sbrigativo revisionismo storico. Liberalizzare fa bene, ma non sempre a tutti.

*Ordinario di economia

Top manager del gruppo Marzotto Venture

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