Meloni alla Casa Bianca è un momento storico non solo per l’Italia, ma anche per la destra
Un ulteriore traguardo “storico” che Giorgia Meloni mette nel suo personale “depositum” è ora quello della prima volta di un presidente del Consiglio di destra che varca la Casa Bianca. E – altro test positivo dentro il test – quello di una premier della destra che incontra un presidente americano liberal, progressista: insomma di sinistra. Non pensatelo come un dato da poco: è storico anche dal punto di vista della destra. Per una serie di ragioni.
Missione di successo della premier
La prima è certamente il successo della missione riconosciuto a Giorgia Meloni: si è mossa con disinvoltura e alla pari con Biden; ma anche al congresso Usa, con i leader di Gop e Democratic Party. E l’incontro, molto lungo, tra la giovane premier italiana e il lucidissimo e “antico” Henry Kissinger, è molto più importante di quanto non si creda. Fu l’allora segretario di Stato a portare il presidente Nixon in Cina nel 1972; e ancor oggi é considerato amico attivo di Pechino, dov’è stato nei giorni scorsi, a colloquio con Wang Yi che ha preso il posto di ministro degli Esteri, sostituendo Qin Gang, improvvisamente scomparso dalla scena pubblica. Qualche consiglio prezioso il grande Vecchio della diplomazia mondiale, autorità morale anche nell’universo repubblicano, lo ha sicuramente fornito alla Meloni, alla luce della chiusura della Via della Seta: la presidente del Consiglio vuole portare a termine l’obiettivo, ma seguendo una linea prudente che non comprometta i rapporti commerciali col gigante cinese.
La sponda Usa per la strategia mediterranea dell’Italia
Il secondo dato: finora avevamo visto la Meloni muoversi con disinvoltura sullo scenario europeo: su questo piano è sorprendente il suo feeling con Ursula der Layen, che indispettisce tanti, soprattutto in casa nostra; ma, come si sa, per tutti i leader italiani l’incontro tradizionale a Washington col commander in chief degli Stati Uniti ha sempre rappresentato un “esame” speciale: anche questo il capo del governo italiano lo ha superato agevolmente. Nessun equivoco, nessuna incomprensione, nessuna gaffe da una parte o dell’altra: una obiettiva convergenza di scopi e percorsi. L’Italia è una media potenza regionale, ma é alla sua portata un grande ruolo nel Mediterraneo: Monti, Letta e Conte lo avevano ignorato; solo Draghi – è giusto riconoscerglielo – lo aveva rimesso in moto, in chiave di autonomia energetica; ma l’attuale inquilina di Chigi lo ha fortemente rilanciato ed elevato a livello strategico. Certo, la nostra premier ha iniziato il percorso con visite e interventi in chiave di indipendenza dal gas russo; ma poi facendo molti passi in avanti, rispetto al suo predecessore, con una visione più politica; internazionale e atlantista. Su questo versante, Giorgia Meloni sta giocando una partita di primo piano, della quale la questione migranti, è un risvolto, importante certo in chiave europea e interna, ma “soltanto” un calcolato effetto.
I gap dei “cugini” francesi
L’Italia – ecco il terzo punto – non è affetta dal complesso di superiorità verso chiunque, America compresa, dei cugini francesi: non si porta addosso l’obbligo storico e un po’ velleitario di potenza nucleare con aspirazioni di indipendenza militare ereditato dal Generale; e neppure – volendola considerare in ottica europeista – il negativo heritage del fallimento storico della progettata difesa europea e dell’idea dell’esercito comune. Per ciò, Roma può ottenere, senza provocare ansie, la “delega” dei partner a tenere, per tutta l’alleanza, i rapporti col Nordafrica in ambito Nato. In sintesi: la nostra Nazione è per gli Usa il socio più affidabile in questa funzione e la Meloni, nella competizione con Macron, può vantare questo “punto” in più. Il primato strategico nel Mare Nostrum, la premier così prova a conseguirlo, di sponda con gli Usa: stiamo ora parlando di politica estera – di grande politica estera – non di politica migratoria, che costituisce, nella visione del Primo ministro italiano, un effetto a valle da ricercare col vento nelle vele di questa postura; la quale è rafforzata dall’impegno italiano in favore dell’Ucraina: il biglietto da visita che la Meloni ha fabbricato, fin dal tempo dell’opposizione, per accreditarsi nelle storiche relazioni transatlantiche con gli Usa e con i partner della Nato. Senza i “se” e senza i “ma” che invece Parigi – altro deficit dei cugini d’Oltralpe – ha più volte esposto nell’illusione di riuscire come grande mediatore tra l’Occidente e la Federazione Russa. Sappiamo com’è andata a finire: il lunghissimo tavolo del colloquio tra Putin e Macron rimane agli atti delle relazioni internazionali come sarcastica icona di storica defaillance.
Antiamericanismo vecchia ricetta: la premier italiana è grande protagonista
In conclusione: il ruolo di attore principale riconosciuto all’Italia nel Mediterraneo costituisce il massimo dell’indipendenza nazionale, affrontata con realpolitik e sguardo strategico, depurato da un antiamericanismo, da sempre malattia infantile ai margini della destra italiana e della sua cultura politica. Oggi, il vecchio antiamericanismo, cerca di tornare, velato ancora da un pacifismo che storicamente ha fatto in Europa e nel mondo l’interesse degli imperi russo e cinese. La colomba di Picasso – disegnata dal grande artista – fu commissionata e usata, via Pcf, da Stalin in funzione anti-occidentale non certo al servizio della pace. Dal 1949 sono trascorsi più di 75 anni e certe ricadute di spontanea o ricercata ingenuità, non possono né incantare il mondo del centrodestra, né traviare il nostro interesse nazionale che la premier della destra sta provando ad inverare: il dovere della “rive droite” è guardare avanti, non voltarsi indietro.