Strage di Bologna, ecco l’ultima trovata per impedire l’esame del Dna sui resti della Fresu, la donna “scomparsa”
Si accende la battaglia “preliminare” al processo di appello – imputato Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo in primo grado – per la strage di Bologna.
Obiettivo dei difensori dell’imputato: rinnovare il dibattimento sulla strage alla luce di fatti nuovi “insorti” nelle more o successivamente al rito celebrato in Corte d’Assise e per la valutazione di elementi – a partire dalla “maschera facciale” attribuita a Maria Fresu – che la Corte presieduta dal giudice Michele Leoni ha ritenuto di non dover ulteriormente approfondire.
Nell’udienza di mercoledì, è in particolare sugli esiti del “Dna” sui resti attribuiti a Maria Fresu che si è registrato lo scontro più intenso.
Infatti, non potendo certo negare l’esito di un esame scientifico così accurato, la Procura generale e le parti civili hanno imboccato una strada non nuova, anzi, si potrebbe dire usuale, quando le evidenze probatorie non vanno nel senso sperato.
La maschera facciale, analizzata dal professor Pappalardo nel 1980 e attribuita erroneamente a Maria Fresu sulla base di un’analisi condotta in base al principio della “secrezione paradossa” – già allora di dubbia valenza, oggi universalmente considerata una sciocchezza dal mondo scientifico -, secondo la Procura generale, sarebbe invece di Maria Fresu proprio in base a quell’analisi.
Di contro, l’attuale materiale organico che sarebbe ricomposto nella bara della Fresu non risulterebbe essere della giovane mamma scomparsa in seguito all’esplosione della strage di Bologna, in quanto qualcuno avrebbe consegnato ai familiari qualche resto umano differente per errore.
L’incredibile tesi viene supportata da un elemento che, per altro, semmai conferma la tesi iniziale.
Infatti, il procuratore ha messo in evidenza come, nella bara della Fresu, vi siano anche altri resti che non solo non appartengono alla Fresu, ma non sono tra loro di “dna” compatibile. La circostanza, però, è sempre stata nota.
Dopo un tentativo di farla sparire, infatti, la maschera facciale venne ritrovata a distanza di alcuni giorni dalla strage di Bologna in una cella frigorifera, come attesta il verbale dell’epoca, unita a un frammento di femore.
Lo stesso verbale, però, attesta anche come la congiunzione dei due elementi fosse stata arbitraria, giungendo la maschera facciale dall’ospedale Maggiore, mentre l’osso della gamba dall’ospedale Malpighi.
Peraltro, mentre dell’osso del femore si poteva giusto ipotizzare fosse di donna per le dimensioni, la “maschera facciale” era un qualcosa che non avrebbe potuto, neanche volendolo, essere confuso con altri frammenti.
Inoltre, va ricordato come l’identificazione della maschera facciale avvenne in due modalità: una scientifica, coi limiti di cui si è detto; ma una anche tradizionale, col riconoscimento nel volto chiaramente visibile da parte dei familiari della Fresu.
Ovviamente, quello del padre della Fresu fu un riconoscimento molto approssimativo, dal momento che la “maschera facciale” può ancora indurre qualcuno a notare una certa somiglianza nelle fattezze con la Fresu, però, smentita senza appello dal “dna”.
Ora, l’osso del femore non fu oggetto di analisi e fu consegnato al padre della Fresu, insieme a parti di una mano, a loro volta ancora conservate all’obitorio, per l’inumazione. Certamente, fu un errore, ma non tale da mettere in discussione che la “maschera facciale” consegnata per la sepoltura fosse un qualcosa di diverso da quello che fu mostrato al padre della Fresu.
Per sostenere questa incredibile tesi, la Procura – sembra una battuta, ma è così – si attacca ai denti. La maschera facciale, infatti, aveva ancora sei denti, quando venne analizzata da Pappalardo, due dei quali vennero estratti per ricavare il materiale necessario a fare l’analisi forense del sangue.
Ne consegue che, nella sepoltura, si dovessero trovare ancora i restanti quattro denti.
Invece, quando furono esumati i resti, i denti ancora presenti nel grumo organico erano solo 2.
Questa, secondo l’accusa, sarebbe la prova di uno scambio di resti tra il momento della autopsia e la consegna alla famiglia della “maschera facciale”.
Se non fosse questione da cui dipende la vita di un imputato, verrebbe quasi da ridere al pensiero di una Medicina legale rappresentata come una macelleria messicana dove i resti umani vengono sparsi qua e là senza alcun giudizio e con un sovrano disprezzo di ciò che rappresentano.
Al di là di questo, però, due sono gli elementi che destituiscono di fondamento la pretesa della Procura generale: a detta di esperti del ramo, seppur sia vero che i denti, materiale inorganico, abbiano tempi di decomposizione lunghissimi e che non dovrebbero sparire in 40 anni; non è affatto detto che ciò non possa accadere a denti con presenza di carie e che, per di più, sono stati sottoposti alla enorme sollecitazione a cui fu esposto il corpo di quella donna, al punto da strappare dal suo cranio il volto quasi intero.
E Pappalardo, guarda caso, annota proprio come due dei 6 denti, tra cui il canino che manca ora, fossero cariati, al momento dell’autopsia.
Senza contare come la descrizione dello stato della dentatura della “maschera facciale” si riferisce, come sempre, al momento iniziale dell’analisi, dopo il quale si è provveduto per la necessità del caso a estrarre due denti, magari danneggiando ulteriormente gli altri o la loro solidità, favorendone una loro dispersione in uno qualsiasi dei momenti successivi alla ricognizione.
Però, che dopo averlo a lungo cercata; dopo averlo finalmente ritrovata e analizzata; dopo aver illustrato i risultati alla stampa con un’apposita conferenza che avrebbe chiarito il “mistero Fresu” nella terza decade di agosto del 1980; alla famiglia sia stata consegnata una diversa reliquia, francamente fa ridere. Anche perché lo stesso padre della Fresu, ancora qualche anno dopo, ricordava la consegna della “maschera facciale” e degli altri resti, in un’intervista con un noto settimanale.
Per altro, c’è un’altra circostanza che rende ancor più improbabile, se non impossibile, l’ipotesi suddetta. Il 6 agosto – quindi, ben prima del ritrovamento della maschera e del femore – il magistrato Luigi Persico chiese al Comune di provvedere all’inumazione di tutti i resti umani non attribuibili a nessuno ancora presenti all’obitorio e riuniti in un unico raccoglitore segnalato col numero 57 dalla stessa Medicina legale.
Ora, è vero che dal Comune è sparita tutta la documentazione in merito, compresa la lettera del sostituto procuratore, ma è evidente come quei resti non fossero più lì dai giorni successivi e che, per altro, erano raggruppati a parte rispetto a quelli poi presi in considerazione da Pappalardo e di cui si detto sopra. Per tanto, da dove avrebbero preso i presunti incapaci e macabri pasticcioni dell’obitorio altri resti da consegnare per errore e in luogo della “maschera facciale” al padre della Fresu?
Infine, la maschera facciale – che questo quotidiano ha per la prima volta mostrato al pubblico, data l’importanza dell’elemento nell’economia del processo – non era certo un frammento corporeo anonimo. Era un’agghiacciante visione della potenza distruttrice della bomba esplosa a Bologna. Ora, ammettendo solo per un attimo che la Procura abbia ragione e che, per errore, al padre della Fresu abbiano consegnato non si sa che sono in luogo di quella: che fine avrebbe fatto la “maschera facciale” analizzata da Pappalardo? Non solo pasticcioni, ma anche ignobili personaggi, quindi, quelli della Medicina legale di Bologna che, una volta accortisi dello scambio, perché da qualche parte la “maschera facciale” sarà pur finita, se si ipotizza l’equivoco, invece di rimediare avrebbero buttato via quei resti umani come si trattasse di spazzatura?
La necessità – perché tale appare vieppiù – di condannare Cavallini in secondo grado si può anche comprendere, data la natura del processo per la strage di Bologna che si trascina da quarant’anni e oltre, ma un limite a certe cose bisognerebbe pur metterlo, o no?
Comunque, a decidere nel merito sarà la Corte d’Assise d’appello mercoledì prossimo e dalle scelte scelte che assumerà in merito a questa e altre questioni preliminari si potrà cominciare a immaginare la piega che prenderà questa ennesima puntata del processo per la strage di Bologna.