La sinistra continua a perdere e di brutto. E ora non dicano che è tutta colpa della Schlein…

31 Mag 2023 15:01 - di Carmelo Briguglio
schlein

La partita delle città é (quasi) finita e sapete pure come: dieci a tre per il centrodestra. Resta una piccola coda del secondo turno in Sicilia, ma il risultato non sposterà, se non in peggio, la sconfitta del centrosinistra fotografata dall’epigramma icastico di Giorgia Meloni: «Non esistono più le roccaforti»: rosse, intendeva. È débâcle progressista per tutti gli osservatori; la gran parte scarica sarcasmo sull’apertura di “Repubblica” che – senza virgolettare – al primo turno aveva titolato a tutta pagina con un assiomatico “L’onda di destra si è fermata” (ma chi li fa i titoli a Rep.?); che era la strampalata dichiarazione di Schlein, poi liquefatta dal secondo turno.

Cappotto di primavera per Elly Schlein

Che volete? Che io ripeta che al primo scontro diretto con Giorgia, Elly ha avuto in regalo un cappottone, anche se in primavera avanzata? Ma di questo trovate illuminate articolesse altrove; a partire dai media “di là” tanto spietati con la leader del Pd, che quasi verrebbe voglia di lanciarle un salvagente mentre annaspa nella marea montante di commenti spietati contra personam. La sinistra politica e giornalistica ha capito che la Schlein è un segretario a termine perché, alla luce dei risultati, nessuno immagina possa non battere la premier, ma neppure competere con lei. Adesso, al cadavere degli entusiasmi di appena due mesi fa – quando Elly fu eletta tra inni e peana alla guida del Pd – ci penseranno gli avvoltoi che si sono già levati in volo dalle alture delle correnti dem, i cui capi sono i veri artefici della sua vittoria interna. Ciò che mi interessano oggi sono pochi ma essenziali questioni che, a mio parere, faranno bene a guardare con la lente d’ingrandimento, sia il centrodestra come il centrosinistra. Il primo per capire le dinamiche della propria vittoria, al di là dell’ufficialese del momento; e il secondo per apprendere quanto di strutturale e di innovativo ha la vittoria del centrodestra a guida meloniana.

Catania metropolitana: vince un sindaco di destra, non di centro

C’è un primo dato, a mio parere trascurato e riguarda Catania. Hai voglia ad associare il “nero”, come colore segnacolo, alla vittoria netta del centrodestra; e per giunta con un sindaco che è figlio d’arte – politica, oratoria e forense- di uno dei più rispettati patres conscripti della destra siciliana: Enrico Trantino; brillante avvocato, militante e dirigente politico, con esperienza di consigliere e assessore alle spalle; è “anche” il figlio di Enzo, parlamentare di lungo corso, missino, poi in An, sottosegretario, maestro di politica e soprattutto principe del foro: un incantatore di folle e di aule giudiziarie. È una genìa rappresentativa della città. Amatissima, oltre le appartenenze. Ma Catania, in passato, più di una volta si é vestita di Bianco: è stata governata per tre mandati da un altro Enzo – Enzo Bianco appunto; a suo tempo un progressista potente: parlamentare e controllore capo dei Servizi, ministro dell’Interno e presidente dell’Anci; con un consenso ben oltre i confini della sinistra classica; fino a diventare emblema di un modo di governare, associato a quello del frontistante Nello Musumeci, alla guida della Provincia: la famosa “primavera di Catania”; che competeva alla pari con quella palermitana di Leoluca Orlando: una bella stagione “left”, lontana da quella amarissima odierna; allora valutata modello di buongoverno, sorretto da plebiscitari consensi e condiscendenze diffuse. Capiamoci: non c’è da decenni un “colore” radicato; c’è stato un andirivieni bipolare. E stavolta ha stravinto il centrodestra. Con questa particolarità nazionale, sotto il Vulcano: Catania, in tutta Italia, é l’unica città metropolitana tra quelle andate al voto. Non confrontabile con gli altri comuni interessati dalle amministrative appena concluse. Il capoluogo etneo ha quasi 400mila abitanti; Ancona, Vicenza, Pisa, Siena, Brindisi, Massa non superano i 100 mila: in alcuni casi restano molto al di sotto di questa soglia. Lo scrivo per fare capire le proporzioni tra le vittorie del centrodestra; tutte importanti, s’intende. Catania, inoltre, poggia su un’architettura economico-produttiva tipica dei grandi agglomerati urbani, con presenze di terziario notevoli, ma anche con insediamenti industriali del valore della Silicon Valley, simbolo del suo status di modernità.

Vincono i candidati sindaci competenti, sia di destra che “moderati”

Per dire cosa? Che. Certo, lì ha stravinto il centrodestra, ma pure che il sindaco vittorioso é di FdI e viene da una solare tradizione politica e familiare di destra. E con lui la destra trascina il suo schieramento in una realtà urbana di area vasta. Quel “tipo” di città che si diceva precluso alle biografie politiche e intellettuali “right”. Non è esatto affermare – lo dico ad Antonio Tajani con lo stesso garbo che lo contraddistingue – che “in politica si vince al centro, con candidati moderati e competenti”. Si vince con i competenti, anche con netta ascendenza di destra e con identità e percorsi “non moderati”. Chi é un minimo addentro alle cose sa che lo stesso bravissimo Daniele Silvetti viene da una storia politica e personale di destra, ancorché oggi si trovi in Forza Italia. Era eccellente prima e continua ad esserlo adesso. Come dire: questa differenziazione tra i profili dei primi cittadini, mi pare datata e distaccata dalla realtà. Ma tant’è; é giusto incrociare le diversità di analisi.

Il secondo turno non è più “nemico” del centrodestra

Secondo dato, molto importante per tutto lo schieramento: non è più vero – se lo è stato un tempo e lo è stato – che il secondo turno sia “nemico” del centrodestra perché favorisce il centrosinistra. Il quale oggi non porta al voto più elettori della coalizione avversaria, come si é visto. O il polo progressista é entrata in una fase di “demobilitazione” dei propri elettori; oppure, sull’onda delle vittoria alle politiche e trascinata dalla performance della prima donna premier, gli elettori di centrodestra vanno al voto a sostenere, fino all’ultimo, i propri candidati. Oppure, come personalmente ritengo, l’una e l’altra cosa: i due elementi si cumulano. É un fatto nuovo di queste elezioni locali, che bisogna tenere d’occhio anche nell’ottica di una nuova legge elettorale legata alle riforme istituzionali.
Terzo dato: i ballottaggi non favoriscono più il candidato progressista. Il “terzo escluso” – e così quelli che lo seguono, più che altro l’elettorato del M5S – al secondo turno non vota il candidato dem o di sinistra. Ma, quello che non rifluisce nell’astensione, probabilmente si frammenta tra le due opzioni, con una leggera preferenza per il candidato di centrodestra.

È caduta la “superiorità” dei sindaci progressisti

Infine, l’ultima questione forse merita maggiore attenzione sotto il profilo dei cambiamenti in atto. Ciò che elevava, secondo la vulgata mediatica, la classe dirigente locale del centrosinistra al di sopra di quella di centrodestra, era il credito riscosso dagli amministratori progressisti; spesso si trattava di nomea non sempre o del tutto rispondente al vero; ma così passava. E – bisogna riconoscerlo – per anni il centrodestra e la destra in particolare, hanno subìto, a torto o a ragione, questo complesso di altrui superiorità, specie del ceto amministrativo del Pd. Adesso, le riconferme dei sindaci di centrodestra uscenti, fa ritenere che questa forma di egemonia della “gauche”, non ci sia più. Il centrodestra esprime elites dedite al governo del territorio di qualità non inferiore, se non superiore, a quelle progressiste. E comunque, pure alla prima candidatura, i prescelti del centrodestra – se selezionati con oculatezza – si giocano la partita in parità di chance. Anche il cambio dei governi delle ex regioni rosse, come le Marche e l’Umbria, dimostrano che la superiorità degli amministratori rouge è un mito caduto o decaduto. A sinistra non possono più valersi di quel primato; non perché adesso deve farsi strada la ybris degli amministratori della “rive droite”; ma perché possa affermarsi in tutte le città, piccole e grandi, un bipolarismo del merito; il quale deve favorire a turno, i migliori. Il che é l’essenza della democrazia politica la quale é alternanza; senza posizioni di rendita e pretese di superiorità di partenza. I risultati di queste amministrative mi sembrano vadano in questa auspicabile direzione. Che vede le città urbane ed “evolute” aprirsi a uomini e proposte del centrodestra; e della destra politica che lo guida.

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