Il Riformista, a Renzi gli auguri di buon lavoro. Non sarà facile mediare con se stesso
Da parlamentare, in un’altra vita (che non rimpiango) ho sempre difeso Il Riformista, quando era diretto da Antonio Polito e animato da un gruppo di giovani redattori, oggi prime firme in grandi testate: ne veniva minacciata la chiusura un giorno sì e l’altro pure. Lo ritenevo una pregiata nicchia di libertà da preservare; per i posti di lavoro in primis, ma anche per il suo carattere di laboratorio contro-corrente; arioso, aperto. Ho pure seguito la traiettoria recente, a zig zag, del quotidiano con Piero Sansonetti direttore e Claudia Fusani editorialista; ben conosco lei, solo a distanza lui: dapprima è stato “terzo” nella sua missione dichiaratamente garantista; mi piaceva di Sansonetti l’equilibrio e la sua disclosure: “Io sono un vecchio comunista, sempre in favore dell’imputato”. Poi la rotta è stata deviata verso una pregiudiziale, spesso rabbiosa e irragionevole e opposizione, quasi ad personam, a Giorgia Meloni. Non ne ho mai comprese le ragioni. Capitolo chiuso.
Politica e giornalismo sulla “rive droite”
Ora il nuovo direttore del Riformista è Matteo Renzi. Il che ha suscitato, com’era prevedibile quando c’è lui di mezzo, interrogativi malevoli. E polemiche palesi e sotto traccia. Non mi aggiungo al coro. La mia è fattura “antiqua” di vita politica e ruolo professionale. E, ormai pressoché libero della prima, cerco di onorare qui l’altro: so ciò che è giusto fare, per educazione e buona regola; cioè augurare al neo-direttore buona fortuna e con lui alla redazione che lo accompagna in questa non facile avventura. Con lealtà. Posso però concedermi qualche raffronto con la nostra tradizione? Sono trascorse più di quattro decine di anni quando Almirante impose al riluttante direttore del Secolo, Nino Tripodi, deputato oltre che direttore di questo nostro giornale, di rilasciarmi l’attestazione per gli articoli che avevo scritto. Il “ragazzo”, gli disse, “ne aveva diritto”. Per noi giovani di allora – che facevamo politica anche scrivendo gratis, ma non solo – diventare pubblicista era un premio a chi pensava, discuteva, proponeva; scrivendo. Diventai professionista, molto dopo, al Roma, con Mimmo Mennitti direttore – che per farlo si dimise da deputato, ecco – e vice Adolfo Urso, che non lo era ancora. I miei compagni di viaggio nel praticantato – tutti più bravi di me – sono oggi giornalisti e intellettuali di rango: Pietrangelo Buttafuoco e Luciano Lanna, per tutti. Sono cresciuto, anche nello scrivere, in un humus giornalistico molto politico, come tanti altri sulla “rive droite”: figurarsi se posso scandalizzarmi per un politico che diventa direttore di un giornale.
Il giornale-pensatoio e i due ruoli
Amarcord: il pomeriggio Almirante se ne andava al Secolo. Più di una volta – io giovane giovane, “autorizzato” da lui a chiamarlo al telefono – lo trovavo lì. “Il Segretario è al giornale,” mi rispondevano dalla vecchia sede romana del Msi, a Quattro Fontane. Che ci faceva al Secolo? Aveva la sua stanza. La sua macchina da scrivere. Buttava giù note senza firma, ma riconoscibili. Tutta la comunità della Fiamma, da Trieste a Trapani, le leggeva. Scrivendo, raccoglieva le idee, maturava riflessioni. Pensava. Prima di parlare alla Camera. O di una Tribuna politica. O di un comizio importante. Di una scelta difficile. Si immergeva nella riflessione. Era un habitus mentale. Che lo aiutava nel guidare la sua comunità. Il giornale era il pensatoio. È un “heritage” che ha lasciato tracce. Ma i direttori-onorevoli a destra, non hanno mai guidato il partito. O facevano l’una, o l’altra cosa. Così Almirante; ma anche Tripodi, Romualdi; e poi, più a valle: Rauti, Fini; e gli ultimi direttori-deputati, Malgieri e Perina. Nessuno fu mai capo politico. E viceversa. Tanto meno oggi Giorgia Meloni, diventata professionista, qui al Secolo. Legittimo quindi chiedersi, su questo versante: si può essere leader di una formazione politica e direttore di un quotidiano? Si riesce a farlo? Non c’è una dantesca “contraddizion che nol consente” nella contemporaneità dei due ruoli?
“Riformista” indipendente? Dubbi e interrogativi
E il Riformista – differente dal Secolo, dichiaratamente di appartenenza – come potrà accreditarsi come “indipendente”, visto chi lo dirige? Come farà Renzi a mantenere la promessa di renderlo una “casa aperta al confronto” e una “palestra di idee”? E, se “a una certa” – come usano dire i ragazzi di oggi – Matteo vorrà scontrarsi con gli avversari, o peggio, con i “nemici” che cercano o si cerca lui – vedasi politici antipatizzanti alla Conte o pezzi della magistratura, questione data per certa – cosa farà? Domande legittime. E tanti dubbi. Su cui però sarebbe scortese soffermarsi, oggi. Il tempo darà risposte. L’uomo è intelligente e inquieto. È pure affetto dal male greco della “hybris”, tutt’altro che raro; in politica, nella comunicazione. Ma presto vedremo se saprà mediare con se stesso; tra le due metà dell’io doppio che si è scelto. Lo diranno le opere e i giorni che verranno. Intanto, augurare buona riuscita al giornale e a chi lo fa, lo trovo naturale, più che giusto; lasciando il resto tra le righe. E allora: buon lavoro, Matteo.