Il prof antifà che sogna la nuova Resistenza: Fini a capo degli squadristi neofascisti…
Uno legge il quotidiano “Domani” e non sa più in che anno siamo: nel 1945? Nel pieno degli anni di piombo? O nel 2023? A non avere chiarissimo il senso del tempo che scorre è l’autore di un articolo cui sarebbe apparso appropriato il titolo “Fiumi di rancore“. Costui è però un docente universitario, non di storia ma di economia, Pier Giorgio Ardeni. Sicuramente eccellente nel suo campo, vai a sapere, ma fautore, sul piano politico, dell’eterno odio verso il “nemico”. Che è, manco a dirlo, il fascismo. Che sarebbe finito nel 1945 ma per Ardeni non è così. Per carità, la libertà delle opinioni è sacra. Come del resto il diritto di critica.
Intanto, il professore ci spiega che purtroppo l’Italia non ha avuto una sua Norimberga. I fascisti furono incarcerati dopo la guerra ma mica tutti giustiziati. Che peccato. Per questo l’Italia non ha fatto i conti col suo passato. Altro che riconciliazione! E’ una stupida pretesa. I cosiddetti “ragazzi di Salò” erano tutti sadici e crudeli, altro che rispetto! E l’amnistia di Togliatti? Anche quella liquidata come una mossa che fece stendere un velo pietoso sugli efferati crimini commessi durante la guerra dai fascisti.
Ma è sul dopoguerra che il lettore ha un sobbalzo e pensa di avere tra le mani un volantino di Lotta Continua. Invece no, è il giornale di De Benedetti. Dunque nel dopoguerra, secondo il nostro professore, la Dc fece da sponda al Msi e in seno al Msi, negli anni Settanta, “trovavano spazio i nuovi squadristi del Fronte della Gioventù con a capo Gianfranco Fini“. Chissà da quanto tempo il povero Fini non veniva evocato come pericoloso fascista, come spietato squadrista, insomma come feroce capo dei picchiatori neri degli anni Settanta. Eppure, guarda un po’ questo professore quanto ha visto lungo: ha trasformato quello che per parte della destra è un “traditore” in un pericoloso “attivista” di estrema destra. Cosa che Fini, ovvio, non è mai stato. Ma sono le distonie procurate dall’eccesso di propaganda.
Ma il professore mica è appagato da questo. No, procede nel suo pacato argomentare. E dopo aver rimpianto il mancato processo di Norimberga in Italia, rimpiange l’arco costituzionale. Ecco la sua prosa viva e palpitante, come si offre agli occhi increduli del lettore del 2023: “L’avere accettato, in questi ultimi trent’anni, che non siano più i partiti dell’arco costituzionale (o i loro eredi) i depositari del mandato democratico e che anche i fascisti e i loro epigoni dichiarati o nascosti abbiano diritto di cittadinanza è stato un grave errore (…) perché da questi non è mai arrivata una parola di pentimento e condanna su quei crimini, quelle violenze, quelle atrocità di cui i fascisti – non i nazisti – si macchiarono le mani”. “E non si sbandiera – intima il professore – più questa stupida idea della riconciliazione quasi a voler dire che abbiamo esagerato e che, poverini, vanno riammessi nella comunità nazionale…”. Quindi: no al diritto di cittadinanza per quelli di destra, che devono stare fuori dalla comunità nazionale oltre che dall’arco costituzionale.
Dunque, tirando le somme, cari elettori della Meloni e di FdI se dovete rinnovare un documento, fare un passaporto, o addirittura se vi punge vaghezza di candidarvi, è al professor Ardeni che dovete rivolgervi: “Scusi lei, di quali diritti io reprobo, io cattivissimo, posso godere? Grazie per la sua clemenza e benevolenza”. E non dimenticate l’inchino, mi raccomando.