Genovese fa il piagnisteo sullo sconto di pena: in carcere un “trattamento disumano”. E quello delle sue vittime?
L’ex imprenditore del web, Alberto Genovese, insiste col piagnisteo per ottenere uno sconto di pena. In carcere, denuncia, avrebbe ricevuto un «trattamento disumano». Ma l’ex stella delle start-up dimentica quello subìto – e denunciato – dalle sue vittime… Così, dopo la carta dell’auto-vittimismo calata sul tavolo processuale – «la droga non mi faceva capire il dissenso delle donne», dichiarò circa un anno fa sulla sua vicenda – Genovese insiste a sollecitare uno sconto della pena lamentando violazioni dei diritti umani e condizioni di vita «degradanti».
Genovese torna a chiedere una riduzione della pena
Proprio non ci vuole stare Genovese… Ma quelle indagini. Quelle testimonianze rese dalle vittime. E, soprattutto, le risoluzioni processuali conseguenti ai soprusi fisici e psicologici di una vita dissoluta e sfrenata – sfociata in episodi di violenza finiti agli atti e alla base della sentenza – hanno lasciato il segno. L’ex imprenditore del web, condannato in via definitiva a 6 anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di stupro (casi denunciati da Milano a Ibiza, a danno di due giovani stordite con un mix di droghe), ha presentato un’istanza di riduzione della pena.
L’ex imprenditore denuncia: in carcere un «trattamento disumano»
Una richiesta basata sul fatto che la detenzione a San Vittore, quando era in custodia cautelare, sarebbe stata – anche per le condizioni di sovraffollamento – un «trattamento inumano e degradante». Così ieri si è tenuta l’udienza per discutere l’istanza davanti al giudice di Sorveglianza. Con i legali di Genovese tornati a sfoderare la carta della riduzione della pena. E presentando il ricorso per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un provvedimento che sancisce il «divieto di tortura e di trattamento inumano o degradante».
I riferimenti di legge a cui ha fatto appello la difesa dell’imprenditore condannato
Una istanza, quella della difesa dell’ex imprenditore, formulata sulla base dell’articolo 35 ter dell’ordinamento penitenziario, per cui si può chiedere, «a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare. Pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio».
Genovese punta a uscire con una misura alternativa come l’affidamento terapeutico
Genovese aveva vissuto in una cella a San Vittore dal novembre 2020, quando era stato arrestato. E fino alla fine del luglio 2021, quando era passato ai domiciliari in una comunità per disintossicarsi. Adesso si è tenuta l’udienza di discussione dell’istanza davanti alla giudice della Sorveglianza di Milano Paola Corbetta, che si è riservata di decidere. Intanto, tornato in carcere a febbraio per l’esecuzione della pena definitiva, (perché il reato ostativo di violenza sessuale non consente in questo caso di scontare la pena a casa), l’ex imprenditore punta a uscire con una misura alternativa alla detenzione: come l’affidamento terapeutico.
Attesa la riposta all’istanza da parte del giudice di sorveglianza
Eppure, solo nel marzo scorso, quando i legali di Genovese hanno contestato l’entità del ricalcolo della pena – un computo al ribasso peraltro (da 8 anni e 4 mesi a poco meno di 7 anni dopo la rinuncia all’impugnativa in appello), l’aula aveva già respinto l’opposizione della difesa dell’imputato. Vedremo cosa deciderà in questo caso il giudice di sorveglianza preposto.