Caso Roccella: se questa è la stampa di destra, l’egemonia della sinistra durerà in eterno

22 Mag 2023 10:55 - di Lando Chiarini
egemonia

Spiace rilevarlo, ma se è questa la stampa di destra l’egemonia culturale della sinistra ha davvero i decenni contati. Meglio dirselo subito, non fosse altro che per evitare di trovarsi sprofondati in cocenti delusioni dopo aver coltivato facili illusioni. Pessimisti? No, solo ottimisti che ieri hanno letto gli editoriali firmati da Augusto Minzolini (Il Giornale), Alessandro Sallusti (Libero) e Davide Vecchi (Il Tempo) a commento delle contestazioni subite il giorno prima dall’ottima ministra Eugenia Roccella al Salone del Libro di Torino. Strano ma vero, tutti e tre i succitati direttori hanno bollato come “fascisti” i turbolenti disturbatori, in un’accezione, per giunta, che neanche l’Unità di Furio Colombo sarebbe riuscita a rendere più spregiativa.

Anche per i giornali moderati la violenza è solo «fascista»

Liberi di farlo, ci mancherebbe. A patto, però, che poi la smettano di menarcela sulla dittatura del pensiero ex-post e neocomunista, di cui si sono sorprendentemente rivelati (peggio ancora se a loro insaputa) comodi e insospettabili reggimoccolo. Intendiamoci: il giudizio storico sul fascismo non c’entra nulla, e sicuramente quello personale di Minzolini, Sallusti e Vecchi sarà sul punto arcinegativo. Quel che stupisce molto, invece, è che se ne siano serviti in modalità fotocopia del Manifesto o di Repubblica. Ora se c’è un indizio rivelatore della soggiacenza ad un’egemonia culturale, è quello di ritrovarsi a pensare e a parlare come il tuo avversario. Anzi, come piace al tuo avversario.

Subire l’egemonia è pensare e parlare come il tuo avversario

Certo, non spetta a noi decidere quale sia quello dei tre direttori, ma se ancora un po’ residua la coincidenza tra elettorato di destra e “lettorato” di quei quotidiani, non abbiamo difficoltà ad immaginare che solo pochi tra quelli che corrono ad acquistarli in edicola abbiano gradito la prosa scelta per censurare l’assalto degli ecoteppistelli rossi alla ministra del governo Meloni. E lasciamo stare il “fascismo degli antifascisti” di pasoliniana memoria o gli aforismi sul tema di un Ennio Flaiano, dal momento che in questa vicenda non c’entrano né scrittori corsari né intellettuali anticonformisti. C’entra, invece, molto più brutalmente, una verità che ci ricorda che imputare alla voce “fascismo” ogni forma di intolleranza è solo un ruffiano inchino alla egemonia cultuale dominante. O forse i tre direttori pensano che i loro editoriali politically correct possano convincere Elly Schlein a prendere le distanze dai fatti di Torino? Ma neanche per idea.

Altro che «contro il coro»

Del resto, perché dovrebbe se persino i giornali della sponda opposta alla sua ne presentano terminologicamente il conto alla parte politica aggredita, la stessa – guarda caso – che l’egemonia culturale di cui prima va, appunto, spacciando come “fascista”. È l’effetto paradossale della “guerra delle parole”. La notizia è che la stiamo perdendo anche per la paura di chiamare le cose con il proprio nome. Una paura che la stampa anticonformista o “contro il coro”, come ancora orgogliosamente rivendica la testata fondata da Indro Montanelli, non dovrebbe conoscere. Così, almeno, credevamo. Evidentemente, c’eravamo illusi. O, più semplicemente, c’eravamo scordati che l’adagio “dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”, per quanto antico, resta sempre attuale.

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