Cari di sinistra, ecco una notizia per voi. Gramsci copiò dalla destra il concetto di “egemonia”

13 Apr 2023 12:55 - di Carmelo Briguglio

Lo faccio apposta. Per mettere il dito, anzi due, nell’occhio dei colleghi spocchiosi – uh, quanto spocchiosi ! – verso l’incontro pasquale della cultura di destra: in testa alcune prime firme della Gedi Corporation. Ce l’hanno col fatto in sé, al di là delle questioni discusse: non possono sentire risuonare la parola “egemonia” nel mondo di destra; il quale, col naso al vento (cambiato), cerca di mettere insieme le particelle elementari in cui é frammentato. E costruire una propria egemonia, ecco.

Gramsci ? La destra lo studia da anni. Insieme alle censure dei “suoi”

Non ce l’ho con Sebastiano Messina: lui con i suoi “Cucù” si può permettere di sbertucciare ora di qua, ora di là (più di qua, giusto ?); ma perché si stupisce, con sarcasmo, che “anche a destra hanno letto Gramsci” (Repubblica, 4 aprile) prigioniero delle carceri fasciste, “fino alla morte” ? Cambia poco: ma vedo che pesa ancora la menzogna del Migliore, il quale – come ricorda Franco Lo Piparo – diffuse il falso storico che i Quaderni era riuscita «a trafugarli dalla cella la sera stessa della sua morte, grazie al trambusto creatosi», la cognata Tania; “Gramsci” – precisa il Prof che ne ha studiato a fondo il linguaggio – non è morto in una «cella» ma in una delle cliniche più costose di Roma, la Quisisana”. Ma Sebastiano lo sa. É lo stesso prigioniero – “di qua” abbiamo letto pure questo – che, nel dicembre 1932, confidava a Tania l’amarezza per quella lettera del compagno Grieco, utilizzata dagli inquirenti (“Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera”, gli disse il giudice Macis, mostrandogliela) contro di lui: “Può darsi che chi scrive fosse solo irresponsabilmente stupido e qualche altro, meno stupido, lo abbia indotto a scrivere”. Sebastiano sa anche questo e di chi parlasse: vedi sopra.
E comunque carceri e fasciste: certo che sì. E a destra non si dovrebbe studiare Gramsci, per questo ? E neppure citarlo ? Fini lo inserì nelle tesi per la svolta di Fiuggi. Di “gramscismo di destra” si dibatte sulla “rive droit” dagli anni ‘80 (De Benoist, Rauti). Lo si cita e analizza, da tempo. Insieme alle reticenze e censure storiografiche dei “suoi”; certo, certo, imparagonabili alla occhiuta e bieca censura del Ventennio, s’intende. Semmai una parentela le Lettere ce l’hanno con quelle di Moro, da quell’altro carcere che sapete. E delle ciniche “interpretazioni” di cui furono oggetto in nome di una ragion di partito-Stato, il cui cinismo fu disvelato da Sciascia. Ma il discorso ci porterebbe lontano, troppo. Il punto è che la sinistra, anche post-comunista, è passata dalle carceri di Gramsci a quelle di Cospito e dei suoi compagni di 41 bis. Ma torno al punto.

L’ ”egemonia” dei “Quaderni” proviene dalla Destra storica

Leggendo, leggendo i Quaderni e quant’altro a valle e a monte, una cosa la sappiamo: l’”egemonia” non é stata inventata da Gramsci; nemmeno nel significato su cui tanto si discusse e si scrive ancora. Sull’ “egemonia” c’è tutta una letteratura risorgimentale – ma non solo, vedasi Renan – attraverso pensieri e scritti di conservatori, moderati, cattolici, liberali; antropologie tutt’altro che progressiste, di destra se vogliamo forzare un pochettino: Jacini, Balbo, Gioberti, Cavour, Tommaseo da cui prendo in prestito il suo “da parecchi anni io sento parlare d’egemonia; ancorché non mi riesca d’intendere se tutti coloro che ripetono questo suono lo intendano nel senso medesimo”. Non può davvero pensare, la sinistra “intelligente”, che Gramsci abbia creato questa idea-concetto da se medesimo. La prese, sezionò, rimpastò dalle pratiche di governo dei “destri” regnicoli e dai “sinistri” russi. Soprattutto osservò, analizzò e si prese termine e sostanza da figure e vicende della Destra storica; dalle loro prassi governiste. La parola – declinata come “primato”, “supremazia”, vera e propria “egemonia” – da quel topos storico-politico gli venne.

L’egemonia culturale passa per la cultura o per il governo politico ?

Ora, qui pongo una riflessione: io non sono così sicuro che l’egemonia culturale passi per la cultura. O soltanto. Cerco di spiegarmi: quella sopra è un’idea molto “mainstream”, come quell’altra “con la cultura (non) si mangia” e altra soffocante roba così. Per me, l’egemonia di una cultura “di destra” oggi, in Italia, passa – nel senso che sta già passando – per il governo. Che é governo politico. Che é il primo a guida di destra. Che é il primo nella storia della Nazione, con premier donna. Ma insisto: per il potere costituito, quello che c’é. Cioè, per il suo esercizio. Per la conduzione dello Stato. Rei publicae, insomma. É un fatto che il primo esecutivo capeggiato dalla destra politica abbia preceduto le sue idee. Sia arrivato prima di una elaborazione compiuta di una “rete”, di un diorama, di un pantheon, di un contro-potere antagonista a quello, diffuso e radicato, della cultura progressista; di un’architettura organica si discute – e si fa bene a discutere – per costruirli adesso; cioè dopo – questo il punto – l’andata al governo.

L’estetica di Meloni al governo fa egemonia

Il che porta a farsi una domanda che riguarda molto da vicino il gramscismo: oggi vale ancora il percorso delle idee che portano al governo o il “governo politico” – al quale la destra non é giunta attraverso una “previa” battaglia culturale – che incultura delle sue idee la società ? Bella domanda, vero ?
Ho un sospetto, che non é certezza; gli elettori hanno incoronato Giorgia Meloni sulla base di tanti elementi: fiducia nella persona, empatìa comunicativa, posizionamento da unica opposizione al governo di tutti, chiarezza di linguaggio, mancanza di una leadership competitiva. Tutti dati che ricadono più in un campo “politico” – per come il “politico” oggi é – che “culturale”. Glielo hanno dato il consenso – e tuttora glielo conservano, dicono i sondaggi – perché piaceva e piace la figura, il “carattere”, lo stile; il modo di essere, di atteggiarsi, di parlare; persino di vestire. É il primato di un’estetica. É questa la vera egemonia della nostra contemporaneità ?

Capovolto il paradigma gramsciano

Che capovolge, se vogliamo, il paradigma propriamente gramsciano che tuttora produce fascinazioni e attrazioni a destra e non del tutto assenti agli “Stati generali della cultura nazionale”. E allora: prima la persona, intendo la persona del premier e i suoi ministri – in primis il bravo Sangiuliano che ha capito il problema ed é all’opera – poi la “forma”, il calco, il sistema ? Prima il governo politico o il governo della cultura ? Sicuri che il primo non produca il secondo e non più viceversa ? Il linguaggio, le posture, le movenze non creano una cultura, una visione, un terreno “ideologico” ? La conduzione di uno Stato, il piglio sul proscenio dei Grandi della Terra, il “logos” della prima donna premier italiana; ma anche i primi atti e leggi, accompagnati da inattese doti di equilibrio e capacità di guida non sono egemonia fattuale?

Le nomine ? Egemonia e strategia della premier

E l’ispirazione delle nomine, le tanto dibattute nomine – delle grandi aziende di Stato ? Non c’è Meloni pigliatutto. C’è Meloni con una strategia egemonica che “usa” pure l’Eni e – absit iniuria verbis – la conferma di De Scalzi, per fare più Nazione Italia nel mondo; che si serve di un nomen così evocativo – Piano Mattei – per riavere una geopolitica italiana in Africa, oltre che una sicurezza energetica. Che tiene il punto su “piccole donne crescono” – May Alcott, perdonami ! – con Giuseppina Di Foggia che incredibilmente diventa la prima donna in vetta a una grande società pubblica come Terna. Che dite ? C’è bisogno di Gramsci ? O di questa nostra premiership strategica ?

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