Salvò 51 ebrei, il paese natio gli nega gli onori: Filiberto Ambrosini era fascista, bisogna approfondire

3 Mar 2023 11:41 - di Natalia Delfino
filiberto ambrosini

Salvò 51 ebrei, ma per la sinistra del suo paese, Monteforte d’Alpone, in provincia di Verona, non può essere un eroe perché fu fascista. È quanto avviene intorno alla memoria di Filiberto Ambrosini, che chi gli deve la vita ha in passato proposto anche allo Yad Vashem come “Giusto delle Nazioni”.

Come il fascista Filiberto Ambrosini protesse e salvò una famiglia ebrea

È l’edizione di oggi di Libero a ricostruire la storia di Ambrosini e la damnatio memoriae cui sembra destinato nella cittadina veneta di poco meno di 9mila abitanti che gli diede i natali. Ambrosini, che di mestiere era farmacista, fu membro delle Brigate nere e nel ’40, da capitano del Corpo di Sanità, fu destinato al comando dei magazzini medici sanitari sul confine slavo. Fu lì che entrò in contatto con la famiglia ebrea dei Benedict di Fiume che decise di proteggere scegliendo che fossero loro a ospitarlo e adoperandosi poi successivamente per metterli in salvo, facendoli trasferire non senza rischi personali a Caprino Veronese, il paese in cui viveva e aveva la farmacia, dove nel 1938 era stato indicato come comandante e dove con la moglie, Nerina Zanetti, offrì loro rifugio.

Un eroismo rimasto a lungo sconosciuto

Di questa storia, come spesso è capitato in casi simili, nessuno seppe niente finché non fu una delle persone salvate a renderla pubblica. Nello specifico fu Rosemarie Benedict, 14enne nel 1940, a raccontarla in una lettera alla famiglia Ambrosini, perché venisse a conoscenza dell’eroismo del loro parente, che dopo la guerra fu anche internato nel centro di detenzione per prigionieri fascisti di Pisa. Lo stesso nipote di Ambrosini, l’oggi 86enne Bruno Zanetti, generale della Guardia di Finanza in pensione, «per buona parte della sua vita accusò quello zio fascista di essere responsabile della deportazione di suo padre», si legge nell’articolo. Poi, quando ricevette la lettera della signora Rosemarie, che sulle vicende della sua gioventù ha scritto anche il libro Rosemarie. Piccole memorie 1938 – 1950 (edito da Primalpe), Zanetti iniziò un non semplice lavoro di ricostruzione storica che gli permise di illuminare di una nuova luce la figura dello zio.

La richiesta allo Yad Vashem con il supporto del Rabbino capo di Padova

Fra la documentazione in possesso di Zanetti ci sono anche alcune lettere in cui il padre di Rosemarie, l’ingegner Benedict, scrisse che Ambrosini «esponendosi a un rischio enorme, agì in modo da eludere ogni minima traccia che sarebbe bastata a farci cadere tra le grinfie dei nostri persecutori (…) organizzando alla fine la nostra fuga. (…). Anche se è stato così cieco da aderire a quel marciume che era il fascismo, il suo retto e solidale modo di agire devono certo far dimenticare e perdonare la qualifica di fascista, non degna di un gentiluomo leale come lui». Fu Rosemarie, poi, a proporre allo Yad Vashem, nel 2007, il nome di Filiberto Ambrosini per il riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni”. Anche Zanetti perorò poi la causa, aggiungendo decine di testimonianze a quella della signora Benedict e inviando il tutto a Gerusalemme, nel 2011, con l’aiuto del Rabbino capo di Padova, Adolfo Locci. Il Dipartimento per i “Giusti tra le Nazioni” lo ringraziò, anche se la richiesta non ottenne approvazione.

Ma l’Anpi va all’attacco e il paese che gli diede i natali deve “approfondire”

A chiedere che fosse almeno Monteforte d’Alpone a tributare ad Ambrosini un riconoscimento postumo per il suo eroismo è stato con due mozioni il consigliere Andrea Savoia, ma la sua richiesta, contro la quale si è schierata l’Anpi, accusando anche Ambrosini, secondo quanto riferito da Libero, di reati che non commise, è in attesa ormai da oltre un anno di «approfondimenti», che nei fatti e almeno per il momento si sono trasformati in uno stop.

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