Omicidio Pasolini, 48 anni dopo un’istanza in Procura può riaprire il caso: la svolta legata a 3 Dna

3 Mar 2023 17:28 - di Lorenza Mariani
Pasolini

A quasi mezzo secolo dalla morte di Pier Paolo Pasolini, (48 anni per l’esattezza), il caso si riapre. Misteri, segreti e tutto ciò che resta di incompiuto in uno dei “cold case” più noti della cronaca del Belpaese, sta per essere nuovamente passato al setaccio degli inquirenti che torneranno ad indagare sull’omicidio dell’intellettuale bolognese ucciso a Ostia il 2 novembre 1975. È notizia di oggi, infatti, che con la presentazione di un’istanza in Procura a Roma per chiedere la riapertura delle indagini sull’omicidio dello scrittore e regista, è stata formalizzata la richiesta di analizzare dei campioni che i carabinieri del Ris individuarono nel 2010 sulla scena del crimine. Con la speranza che le moderne tecnologie investigative possano finalmente far luce su tutta la verità di quella aggressione mortale.

Omicidio Pasolini, presentata in Procura un’istanza per riaprire il caso

Nell’istanza dunque, redatta dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, si chiede di verificare a chi appartengano tre Dna individuati dai carabinieri del Ris nel 2010 sul luogo del delitto. Perché – spiega il legale incaricato – «quella notte all’Idroscalo di Ostia Pino Pelosi non era solo. Ci sono almeno tre tracce, tre “fotografie” di persone. E ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di tre Dna. Da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono».

La possibile svolta dall’analisi di tre Dna trovati sulla scena del crimine

«Nella prima indagine questo si è fatto in modo parziale – spiega l’avvocato a proposito della nuova istanza –. Vennero esaminati circa 30 Dna. Ma oggi è tempo di fare verifiche più diffuse, tenendo presenti anche le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, esponente della Banda della Magliana, che alla Commissione Antimafia dà una giustificazione sul perché Pasolini si recò all’Idroscalo di Ostia: non era lì per consumare un rapporto sessuale occasionale con Pino Pelosi, con il quale lo scrittore aveva una relazione. Ma per riottenere le pizze di Salò, le 120 giornate di Sodoma, che gli erano state sottratte. E a cui teneva tantissimo». Per Maccioni, Grieco e Giovannetti, Pasolini venne «attratto in una trappola e lì venne aggredito a morte. Nell’istanza di centinaia di pagine forniamo molti elementi, tante tessere che i magistrati devono mettere insieme».

Antoniozzi (Fdi): «Scettico su nuovi indizi, ma si valuti tutto per arrivare alla verità»

Sul caso del brutale omicidio di Pasolini si riparte, dunque, da una verità parziale. E da una nuova indagine che oggi ha le possibilità tecnico-scientifiche di andare fino in fondo su aspetti rimasti nell’ombra. Sulla ipotetica svolta del caso, allora, e sulla eventualità che possa farsi luce sul buio del mistero che avvolge la vicenda da sempre ormai, si è espresso oggi Alfredo Antoniozzi vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Il quale, nel ricordare Pasolini e nel sottolineare il suo ruolo di intellettuale «scomodo anche a settori culturali e politici di sinistra», ha commentato: «Sono molto scettico, da ciò che si legge sulle agenzie, circa i nuovi indizi sulla morte di Pasolini. Ma sono certo che la Procura della Repubblica dì Roma saprà valutare tutto con obiettività. E sarei felice se si potesse arrivare a una verità assoluta».

Pasolini, «un intellettuale scomodo anche a settori culturali e politici di sinistra»

E ancora. «Pasolini è stato forse il più grande intellettuale del dopoguerra – ha sottolineato Antoniozzi –. Scomodo certamente al potere nella sua più totale accezione. E scomodo anche a settori culturali e politici di sinistra. Le sue profezie sul disvalore della società si sono purtroppo avverate. Così come le sue straordinarie pagine in difesa dei più deboli e le sue denunce contro una borghesia intellettuale che – ha poi concluso il vice capogruppo di Fdi alla Camera – era in realtà nemica del proletariato in quei tragici anni, e che continua a dimenticare i suoi insegnamenti».

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