No all’utero in affitto: Gramsci (1918) come Meloni (2023). Ecco cosa scrisse ai “compagni”
Era il 1918 e si parlava di commercio di ovuli. Qualcuno, molto ascoltato a sinistra, sosteneva la sacralità dell’organo riproduttivo delle donne e invocava l’orgoglio della maternità.
Non confondetevi: Pillon non era ancora nato.
“Il dottor Voronof ha già annunziato la possibilità dell’innesto delle ovaie. Una nuova strada commerciale aperta all’attività esploratrice dell’iniziativa individuale. Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l’organo della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l’eredità dei sudati risparmi maritali. Le povere fanciulle guadagneranno quattrini e si libereranno di un pericolo…”, scriveva un pensatore libero che di lì a poco avrebbe fondato il Partito comunista italiano.
Non sbagliate: anche la Roccella non era ancora nata o forse sì, ma non era ancora ministra (si scherza).
“Le povere fanciulle vendono già ora le bionde capigliature per le teste calve delle cocottes che prendono marito e vogliono entrare nella buona società. Venderanno la possibilità di diventar madri: daranno fecondità alle vecchie gualcite, alle guaste signore che troppo si sono divertite e vogliono recuperare il numero perduto. I figli nati dopo un innesto? Strani mostri biologici, creature di una nuova razza, merce anch’essi, prodotto genuino dell’azienda dei surrogati umani, necessari per tramandare la stirpe dei pizzicagnoli arricchiti…”, proseguiva l’indignato politico che parlava alle masse e al popolo, non da piazza Venezia.
No, non ci provate. Non era la Meloni: lei non avrebbe mai detto pizzicagnoli, casomai pizzicarolo. Non è lei che firma quello scritto, anche perché, oltre a non essere nata, non indossava occhialini rotondi da intellettuale.
Chi scriveva non era una madre, una cristiana, non si chiamava Giorgia, eppure se oggi fosse vivo, Antonio Gramsci, forse voterebbe con il centrodestra le leggi per l’introduzione dell’utero in affitto come reato universale – come ha fatto notare lo stesso Fassina – fregandosene delle battaglie per la liberalizzazione dei figli “acquisiti” all’estero grazie alla maternità surrogata, non solo da coppie gay, anzi, nella stragrande maggioranza da quelle etero, come dimostrano le cifre.
“La vecchia nobiltà aveva indubbiamente maggior buon gusto della classe dirigente che le è successa al potere. Il quattrino deturpa, abbrutisce tutto ciò che cade sotto la sua legge implacabilmente feroce. La vita, tutta la vita, non solo l’attività meccanica degli arti, ma la stessa sorgente fisiologica dell’attività, si distacca dall’anima, e diventa merce da baratto; è il destino di Mida, dalle mani fatate, simbolo del capitalismo moderno”, chiudeva Gramsci, nel giugno 1918, nei suoi Scritti 1913-1926 (Einaudi, Torino 1984).
Ma era una tesi che Gramsci aveva espresso anche in articolo titolato “Merce” e pubblicato su “L’Avanti” il 6 giugno 1918 in cui, criticando il capotalismo, sosteneva che “la vita diventerà anch’essa una merce“. E non era la Rosi Bindi, a giudicare dalle foto in bianco e nero di Gramsci che ancora campeggiano nella sede del Pd.