La beata quarantennale latitanza in Nicaragua del compagno Casimirri, nome di battaglia Camillo

7 Dic 2022 18:18 - di Mario Campanella
Casimirri

Sono 40 anni tondi tondi che il compagno Camillo vive tranquillo in Nicaragua, apertamente, ormai alla luce del sole da quando è diventato cittadino indigeno. Certo, detto così il nome sembrerebbe un refuso del noto libro di Guareschi, ma in realtà  il nome di battesimo recita Alessio Casimirri, brigatista rosso, co- autore della strage di via Fani, condannato a sei ergastoli senza avere mai scontato un’ora di carcere. Nome di battaglia, appunto, Camillo. Uno dei compagni che “sbagliavano” riuscito a fuggire, alla Achille Lollo e meglio ancora di Cesare Battisti, con il sostegno di non si sa chi, arrivando alle soglie dei 72 anni in totale e assoluta libertà.

Il locale “Magica Roma” a Managua

Gestisce finanche un locale a Managua, il compagno Camillo, chiamato “ Magica Roma” forse in onore della sua fede calcistica. Si è divertito alla grande in questi quattro decenni il prode Alessio, nascosto nella boscaglia centramericana, sostenuto da sedicenti filantropi di un vasto e infinito mondo italiano che non ha mai nascosto la debolezza della comprensione rivoluzionaria verso gli adepti della lotta armata.

Achille Lollo, che bruciò i fratelli Mattei, se la cavò con un’ assurda derubricazione che portò dritta alla prescrizione. Alessio, invece, ha peregrinato fra i due mondi, si fa per dire, non pagando un solo secondo per l’eccidio della scorta di Moro.

Chi è Alessio Casimirri, nome di battaglia “Camillo”

Figlio di una famiglia borghese, presto convertitosi alla lotta armata, aderì il 1976 alle Br. Quel giorno di marzo del 78 agì ufficialmente con una 128 bianca che impedì alle due macchine della scorta dello statista democristiano di poter fuggire, dando la possibilità ai kalashnikov di annientare Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.

Nel suo palmares da criminale spiccano anche l’omicidio del giudice Girolamo Tartaglione, sempre insieme a Faranda e Lojacono suoi sodali di guerra, il ferimento della scorta di Giovanni Galloni e tante altre gesta “eroiche”. Uscito dalle brigate rosse nel 1980, due anni dopo scappò in Nicaragua per abbracciare la causa sandinista.

Quindi, gli ergastoli del 1985 e un incredibile assortimento di richieste di estradizione, distrazioni di stato, incomprensioni diplomatiche che gli hanno garantito l’esilio  dorato. Nel 1998 ci provò l’allora guardasigilli Flick a chiedere che tornasse in Italia ma, probabilmente, i postini scelti erano sbagliati. Domanda respinta.

Casimirri ha acquisito la cittadinanza nicaraguense

Perché Casimirri, scaltro com’è, penso bene, successivamente, di sposare una nicaraguense, acquisendo la cittadinanza e, di fatto, l’immunità . Bisognava riportarlo in loco proprio nel quinquennio rosso di Prodi e D’Alema , mentre oggi l’operazione sembra quasi impossibile. Ci ha provato il centrodestra con una risoluzione non vincolante approvata un anno e mezzo fa dal Parlamento europeo, ma la fortezza orteghiana resiste a ogni ostilità.

Certo, conoscendo la caparbietà e la limpidezza di Nordio è probabile che qualche tentativo potrà essere fatto ma tutto, praticamente, dipende dal Nicaragua, lo stesso Paese che fece addirittura ambasciatore Francesco Cicci Cardella, fondatore della Saman, socialista e proprietario di un patrimonio finanziario immenso, amico di Ortega e da lui protetto negli anni dei guai con la giustizia.

Gianfranco Bonofiglio, direttore de La Voce Romana, ipotizzò che a via Fani quel giorno ci fosse anche la ndrangheta e più precisamente Antonio Mirta, boss che aveva grandi aderenze nel mondo criminale romano, morto nel suo letto a 96 anni. Un altro dei tanti misteri mai chiariti su quella tragedia rispetto alla quale una certezza c’è: Alessio Camillo Casimirri era presente e favorì la mattanza.

Casimirri è l’ultimo baluardo del soccorso rosso, la rete di protezione di criminali e terroristi di sinistra, che fu lanciata e finanziata dal mondo radical chic nostrano con un’evidente copertura e complicità internazionale. I nomi dei poliziotti caduti in via Fani sono scolpiti nella lapide commemorativa ma rispetto al loro sacrificio l’impunità di Casimirri è un pugno nello stomaco. Che continua a fare male.

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