Pd, è il giorno della direzione nazionale. Contro Letta anche le donne: «Parità in ogni incarico»

6 Ott 2022 9:20 - di Michele Pezza
Letta

Chi ci capisce è bravo. Nel giorno in cui si apre la direzione nazionale del Pd resta difficilissimo districarsi non solo nelle varie posizioni, ma anche in una procedura bizantina, il cui epilogo è fissato solo a marzo. Enrico Letta, che a breve terrà la relazioni introduttiva, ha immaginato un percorso in quattro fasi. La prima è la lettera agli iscritti, di cui il segretario parlerà oggi, l’ultima le primarie di primavera. In mezzo ci sono gli incontri con i non iscritti e il congresso vero e proprio che si terrà a gennaio. Già messa così, più che la road map di un partito che deve rinnovare i propri organi, il percorso immaginato da Letta somiglia ad una gincana dove vince chi supera tutti gli ostacoli seminando gli altri.

Letta tra chi vuole «sciogliere» e chi «rigenerare»

Come se già questo non bastasse, ci sono poi le divisioni tra chi vuole «sciogliere», come Rosy Bindi, e chi, invece, si accontenterebbe di «rigenerare», come Stefano Bonaccini, di Base riformista, il più accreditato a succedere a Letta. Occhio, però, anche alle donne che oggi rivendicheranno la distribuzione «paritaria» di ogni incarico dirigenziale. La vittoria di Giorgia Meloni ha fatto scuola e se la destra si presenta con la prima donna che può diventare premier, come farebbe il primo partito della sinistra ad esibire soli uomini? A latere c’è poi la concorrenza esterna. Calenda e Renzi sono sulla sponda del fiume in attesa di accogliere i tanti che, secondo loro, potrebbero lasciare il Pd per il Terzo polo.

L’opa ostile di Conte

Menzione a parte merita invece Giuseppe Conte, il più insidioso di tutti. La sua idea di scendere in piazza per la pace in una mobilitazione senza bandiere è una sorta di opa ostile lanciata sul partito di Letta. Il M5S è ormai il «nemico a sinistra» che il Pd, fedele alla consegna più perentoria della tradizione comunista, aveva sempre evitato di far nascere. Ma ora sembra che quel momento sia giunto. Spaccato com’è in due tronconi («scioglitori» e «rigeneratori»), il Pd si avvia a vivere la fase più delicata della sua pur tormentosissima storia (quattro scissioni in 16 anni), resa ancor più angosciosa dalla probabile presenza di una post-missina a Palazzo Chigi. Tempi duri. Davvero.

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