La Costituzione tra tempi e tempismo: la lunga attesa per la riforma e le emergenze che incalzano
La Costituzione é “vecchia”? Quanto scandalo per una verità anagrafica che é nei fatti. Di certo, “vecchi” sono i suoi tempi. Lenti. Inadeguati. Si può discutere se la “Costituzione più bella”, sulla quale la futura premier e i ministri giureranno, sia o no erosa dalla vecchiezza e fino a qual punto. Di sicuro, per l’anagrafe é entrata nella terza età. Tanto che ha subìto più interventi di ortopedia giuridico-istituzionale; i quali, alla soglia dei 75 anni, le consentono di attendere ancora un po’, ma non molto, prima di sottoporsi a più incisive modifiche, specie nella forma di governo. Ma di ciò, una volta che si é insediato il nuovo Parlamento e si é formato il nuovo gabinetto, ci sarà chi se ne occuperà. A partire dall’auspicata e annunciata Bicamerale.
Costituzione, attesa lunga e senza procedure di transizione
E ci sarà di che discutere e dibattere, se il centrodestra vorrà dare attuazione al programma di cambiamento della Carta approvato dal Corpo elettorale. Intanto, qualche considerazione é dettata dalla stretta contemporaneità che stiamo vivendo in questi giorni. La faccio breve: l’attesa per l’insediamento delle nuove Camere é lunga. Resa lunghissima dai pasticci incredibili del Viminale nell’attribuzione dei seggi. Ma, soprattutto, dalla fase di emergenza e dalla psico-sfera di guerra che stiamo vivendo. Ci vorranno due settimane per avere il nuovo Parlamento e quindi il nuovo esecutivo. Quella dei tempi “antichi” e “morti” della Costituzione é questione non secondaria che dovrà affrontarsi quando si vorrà procedere a revisionarla.
La Costituzione tra intervallo prolungato e tempistica “sorpassata”
L’articolo 61 obbliga a insediare le due assemblee legislative «non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni». Il che vorrebbe dire che, anche a Costituzione invariata, forse si poteva fare qualcosa per anticipare la convocazione del 13 ottobre. Nel ’48 non c’era l’Unione Europea e gli adempimenti connessi all’invio ad essa della legge di bilancio entro metà del mese prossimo. Anche se in casi come il nostro, il termine sarà di fatto prorogato da Bruxelles. Non era neppure prevedibile lo stato di guerra energetica legata ad eventi bellici – l’aggressione russa all’Ucraina e l’escalation provocata dalle annessioni – che richiedono rapidità di decisione e di intervento. Quindi é “tempistica” sorpassata.
Tempi e tempismo per la riforma
Forse i presidenti uscenti e lo stesso capo dello Stato in via straordinaria (articolo 62, secondo comma) – ma non si conoscono precedenti e Mattarella é persona prudente – avrebbero potuto “tagliare” questo prolungato intervallo. E non si dica che esso favorisce la necessità per il futuro premier “indicato” dagli italiani di svolgere incontri e interlocuzioni per giungere a una veloce formazione dell’esecutivo. In verità, la scelta di Giorgia Meloni, apprezzata unanimemente, di poco parlare e di operare con riservatezza, avrebbe potuto svolgersi nella veste ufficiale di presidente incaricato e non come leader della formazione e dello schieramento maggioritari. Il che, anche nel rapporto con le opposizioni, le avrebbe consentito un ruolo formale, non limitato a quello di capo partito: in una fase straordinaria e di orizzonte di riforme costituzionali, sarebbe stato oltremodo utile.
Dramma bollette: doveri del governo e spirito repubblicano
Il rischio é che, dinanzi a urgenze che spingono ai portoni delle istituzioni, si confondano i doveri di chi tuttora governa e di chi non ha alcun legittimo potere di operare. Per fare fronte al dramma delle bollette di luce e gas, che occupa le prime pagine e soprattutto tiene in ansia famiglie e imprese italiane, un giorno in più o in meno può essere decisivo. La gente percepisce un “ritardo” rispetto al dramma sociale che vive. Ma Draghi é tuttora il presidente del Consiglio, la Meloni non lo é: questo il dato. I doveri incombono su chi c’è e non su chi non c’è, ad esser chiari. Per di più l’Italia non é dotata neppure di procedure di transizione da un governo che finisce a quello che gli succede, come accade negli Stati Uniti. Problematica che vale la pena, a tempo e luogo, sia valutata. Per intanto, alle lacune formali, sopperiscono certo relazioni colloquiali ispirate al senso delle istituzioni e allo spirito repubblicano. Il quale non manca al capo del governo uscente. Ma – come si sta notando, con altrui sorpresa – neppure a colei che gli succederà.