“Tu quoque” Mattia? Feltri Jr. come Mieli nel 2006: «Votate a sinistra, a prescindere»

25 Lug 2022 18:51 - di Valerio Falerni
Feltri

Professione reporter? Un tempo, forse. Certamente non ora che le elezioni premono e la voglia di azzardare previsioni impazza. E allora succede che il cronista lascia il posto al profeta: non racconta più quel che è accaduto, ma prevede quel che accadrà. Meno Omero e più Cassandra. Strano ma vero, il vizio ha contagiato anche un insospettabile figlio d’arte come il direttore dell’Huffington Post Mattia Feltri, un vero cagnaccio da macchia e non certo un barboncino da salotto. Eppure anche lui, persino lui, non ha resistito alla voce del padrone e ha ceduto alla tentazione dell’endorsement preventivo, che nel 2006 fu già errore blu di Paolo Mieli, all’epoca number one del Corriere della Sera.

Mattia Feltri è il direttore Huffington Post

Premesso che ciascuno scrive quel che gli pare e come gli pare, è altrettanto vero che desta sempre una certa impressione (oltre che apprensione) l’idea che un giornalista indipendente dia indicazioni di voto prima e non dopo la campagna elettorale. Il pre-giudizio al posto del giudizio. Ancor più ove si constati che accade sempre in danno del centrodestra. Oggi come ieri. D’accordo, la coalizione sarà pure “sporca, brutta e cattiva” quanto si vuole, ma meriterebbe pur sempre un minimo di rispetto, non fosse altro che per i consensi di cui sarebbe destinataria. Come si dice, si rispetta il cane il padrone.

Il precedente del 2006

Invece, come per Mieli nel 2006 così per Feltri Jr. nel 2022 quell’alleanza non promette nulla di buono. “A prescindere“, direbbe Totò. Tanto è vero che toni e contenuti sono sostanzialmente identici nonostante diversi siano i protagonisti, al netto – ovviamente – di Silvio Berlusconi. Al suo fianco, 16 anni fa, in formazione tridente c’erano Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, due politici che oggi nessuno additerebbe come eversori ma che allora – chissà perché – miscelati al Cavaliere formavano un trittico da scansare ad ogni costo. Almeno per il direttore del Corsera, che infatti invitò a votare per l’Unione di Prodi prima e non dopo la campagna elettorale.

Paura della democrazia

Lo stesso fa oggi Feltri sull’HP («il centrodestra fa più pena che paura»), avendo di fronte Berlusconi, Meloni e Salvini. A conferma, evidentemente, che a far scattare la fatwa del pregiudizio è la coalizione in sé più che la qualità dei suoi leader. Infatti, laddove ieri il mirino inquadrava il Cavaliere Nero e la sua masnada di post-fascisti, secessionisti e vecchi arnesi, oggi il bazooka è puntato sulla prevalenza della fazione sovranista, rispetto alla quale persino il vecchio capobanda è un moderato da recuperare. Che dire? Non v’è chi non scorga in questa zoppicante narrazione il filo rosso di una preoccupazione che è solo delle élite: e cioè che in politica la spinta del popolo possa valere più del laccio del vincolo esterno, sia esso della Ue o della Bce. Ma è la democrazia, bellezza. Se non va più bene, basta dirlo.

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