Regioni, la Gelmini ha ragione: «L’autonomia non è una battaglia di destra». Ma allora perché la fa?
Parlando a Firenze per il 52esimo anniversario della istituzione delle Regioni, il ministro Mariastella Gelmini ha sollecitato la platea a non considerare la rivendicazione per l’autonomia (regionale) differenziata o rafforzata come «una battaglia di destra». Ha pienamente ragione. Anzi, la si può a buon titolo ritenere di sinistra. Per tre ordini di ragioni – storico, politico, culturale – che la Gelmini certamente non ignora. Motivo storico: a battersi contro l’istituto regionale fu la destra, non solo quella missina di Giorgio Almirante ma anche quella liberale di Giovanni Malagodi. Entrambi ritenevano che i nuovi Enti territoriali non avrebbe decentrato servizi e opportunità bensì partitocrazia e clientelismo. Hanno avuto ragione. Motivo politico: a riformare nel 2001 il Titolo V della Costituzione, che regola i rapporti tra Stato e Regioni, ribaltandoli a vantaggio di queste ultime, fu la sinistra.
Così la ministra Gelmini a Firenze
Non per caso il centrodestra – e la ministra Gelmini lo ricorderà senz’altro – provò a correggerne il micidiale impatto, riportando alla esclusiva potestà dello Stato molte funzioni devolute da quella sciagurata riforma alle Regioni o esercitate da entrambi attraverso la legislazione concorrente. Il tentativo, tuttavia, nel 2006 non superò lo scoglio del referendum confermativo. Ma è prova certa dell’imprinting della sinistra sulla battaglia autonomista la circostanza che vide l’allora premier Paolo Gentiloni siglare frettolosamente le pre-intese sulle nuove competenze e sulle risorse aggiuntive da assegnare a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Lo fece, ovviamente, in applicazione del Titolo V novellato ventuno anni prima dalla sua stessa parte politica.
Una “schiforma” tutta di sinistra
Motivo politico: la destra non potrà mai accettare soluzioni rischiose per l’unità, l’identità e la solidarietà nazionale. Sono valori non negoziabili. Ma anche pilastri di coesione sociale che hanno retto il nostro sviluppo. Il rapporto Nord-Sud ha registrato il suo minor divario tra il 1951 e il 1970, quando il regista dello sviluppo del Meridione era, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, lo Stato. In quel periodo, il pil pro-capite del Sud raggiunse il 61 per cento di quello del Centro-Nord. Oggi, dopo oltre mezzo secolo di protagonismo regionale, non arriva al 53 per cento. Infine, una considerazione di tipo esperienzale: i processi autonomistici si sa dove cominciano, ma non dove finiscono. La Catalogna, in tal senso, è un monito. Ci pensi perciò molto bene la Gelmini prima di battere fino a modellarlo il ferro rovente dell’autonomia rafforzata. Lasci che sia la sinistra a farlo. Il centrodestra nacque per rimetterla in piedi, l’Italia. Non per sfasciarla.