Puntuale come un orologio svizzero: nuovo articolo su “Repubblica” contro Giorgia Meloni

28 Giu 2022 12:08 - di Viola Longo
meloni

Puntuale e tedioso come la chiamata di un call center, arriva l’ennesimo articolo su quanto Giorgia Meloni sia personalmente una «fuoriclasse», circondata però da un nulla fatto di classe dirigente impreparata e sottobosco fascista. A firmarlo, all’indomani dell’esito del ballottaggio, è Concita De Gregorio su Repubblica, che non lesina, come molti prima di lei, consigli alla leader di FdI su come poter essere davvero incisiva: «Sconfigga il suo passato ora, subito, con un colpi di reni, per usare quel lessico».

L’originalissima tesi sull’assenza di classe dirigente in FdI

Ancora una volta, insomma, la tesi è che Meloni per poter fare davvero il salto di qualità, debba omologarsi ai diktat della sinistra, tanto per quanto riguarda il suo modo di presentarsi tanto per quanto riguarda la selezione della classe dirigente, che a leggere Repubblica pare fatta impresentabili spuntati dal nulla. Idea che sarebbe corroborata dai risultati dei ballottaggi. Recita l’articolo: «Al suo partito, che in dieci anni passa dal niente al 22 per cento nelle intenzioni di voto, manca una classe dirigente nel Paese. Una rete di persone credibile, preparata, competente, votabile».

“Repubblica” e il mondo alla rovescia della sinistra

E ancora, Meloni «perde nelle elezioni locali perché il voto nelle città è la cartina di tornasole della fiducia delle persone non nei leader di partito, ma nei candidati sul posto. Che sono il cognato della tua migliore amica, la maestra di boxe di tua figlia, quello che una volta mise la foto di un culo nudo in zoom, il tipo di CasaPound che ha preso a botte tuo nipote e l’ha fatta franca, ma tu lo sai che è stato lui. Li conosci, insomma. Sai molto bene chi sono e alla fine – se non sei proprio un militante di quella falange – preferisci di no».

Fa niente che i candidati di FdI, con vittorie come quella a L’Aquila o a Pistoia, tanto per citare due casi, abbiano dimostrato esattamente il contrario, ovvero l’esistenza di una classe dirigente che si è formata nella militanza e che è cresciuta e continua a crescere nelle amministrazioni. Fa niente anche che il candidato “di CasaPound”, come ha sostenuto il Pd sollevando una cagnara a Lucca, sia uno che ha preso da solo il 9,5% e che l’apparentamento l’abbia voluto il neosindaco Mario Pardini, un civico, moderato e liberale, che ne ha riconosciuto i meriti amministrativi. Nel mondo parallelo della sinistra italiana vale ancora il detto per cui “se la realtà non concorda con la teoria, tanto peggio per la realtà”. La narrazione va avanti comunque.

Meloni «bravissima, una fuoriclasse», ma…

Del resto, la stessa necessità di scrivere un articolo come quello di Repubblica conferma quanto grande sia il problema che si trova ad affrontare la sinistra politica e quanto preoccupante sia per i suoi apparati diffusi. De Gregorio si gioca la carta della perizia: non nega che il Pd sia a pezzi (descrive Letta come «l’uomo che vince da immobile, per insipienza degli altri»), ma fa passare l’idea che “gli altri”, sotto la patina, siano peggio di lui. E “gli altri”, in questo momento, sono essenzialmente FdI. Dunque, giù a denigrare la pur «bravissima» e «fuoriclasse» Meloni. È l’unica che, si legge nell’articolo intitolato «Meloni, l’imperatrice dei sondaggi prigioniera del suo passato», «che si muove con precisione, arguzia, intelligenza politica, l’unica che moltiplica i consensi basta che parli di cani abbandonati, poveri cuccioli, è lei».

«Alle sue spalle ci sono i fascisti, vecchi e nuovi»

«Yo soy Giorgia. Soy una madre, una mujer. Folle fascistissime in deliquio, in Spagna: neofranchisti convertiti al femminismo, nel senso che prendono per la prima volta in considerazione che una donna possa non essere solo utile alla riproduzione, una madre appunto, ma anche una leader politica. Per necessità, certo: per assenza di alternative, per manifesta sua superiorità della dote di leadership», si legge ancora nell’articolo, che prosegue sostenendo che «alle sue spalle ci sono i fascisti, vecchi e nuovi». E poi c’è «la Fiamma tuttora nel simbolo», e poi c’è che Meloni non «rinnega» in maniera «più esplicita la matrice», e c’è che dovrebbe «puntare a un elettorato conservatore non razzista, non antisemita, non omofobo, non violento, non nostalgico del Duce e incassare il consenso degli orfani del patriottismo salviniano e del dirigismo forzista», che letta bene vuol dire che, invece, ora Meloni punta a quella roba lì.

La sinistra terrorizzata da Meloni

Ma, insomma, pure basta con questa storia, anche perché è un gioco talmente scoperto da risultare ormai stucchevole. «Si può battere, l’imperatrice Giorgia, la sinistra può farlo: a meno che lei non sconfigga il suo passato ora, subito, con un colpi di reni, per usare quel lessico. Da oggi la partita è questa», sono le parole finali dell’articolo, che però a leggerle con attenzione suonano più o meno così: “Speriamo che Meloni cambi, perché altrimenti sono cavoli”.

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