Stragi, la verità da cercare e le verità di comodo. Un convegno alla Fondazione An “destabilizza” le piste nere

26 Mag 2022 18:51 - di Riccardo Angelini

Il titolo giusto avrebbe potuto essere un altro: non “quale verità storica sulle stragi” ma “quante verità sulle stragi”. Si è parlato di questo, in ogni caso, al convegno organizzato dal periodico Realtà Nuova di Domenico Gramazio e dal giornalista Sandro Forte nella sala riunioni della Fondazione An. E l’aggancio con l’attaulità c’era tutto, dopo il servizio di Report che ha cercato di affibbiare allo scomparso Stefano Delle Chiaie anche la strage di Capaci. Pubblico attento e numeroso, cui ha dato il benvenuto Giuseppe Valentino, e che ha molto applaudito quando uno degli oratori, Piero Sansonetti, ha puntato l’indice contro la Rai. “Ma come – ha detto – la Rai manda in onda un servizio sulle piste nere che la procura di Caltanissetta definisce un depistaggio e nessuno dice niente?”. Applausi.

E altri ne sono arrivati quando Sansonetti ha affermato che per la strage di Bologna hanno condannato persone che sono vistosamente innocenti. “Perché il punto era la volontà di politicizzare le stragi, stabilendo che erano stati i fascisti a farle. Non si è cercato per ciascuna strage la verità. E poi basta con questa storia che le stragi hanno inquinato la battaglia politica e hanno impedito al Pci di andare al governo. Il Pci al governo non ci voleva andare…”.

Poi si è entrati nel merito di una verità giudiziaria che la procura di Bologna difende con le unghie e con i denti. E lo hanno fatto Valerio Cutonilli e il perito Danilo Coppe, incalzati dalle domande del moderatore Gianmarco Chiocci. Cutonilli ha mostrato al pubblico la copia del fonogramma che allertava le questure italiane, venti giorni prima della strage, l’11 luglio, sulla possibilità di un attentato da parte del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Eppure le indagini non presero mai quella direzione. Anzi, il questore di Bologna chiese, immediatamente dopo l’esplosione alla stazione, di indagare esclusivamente negli ambienti dell’estremismo di destra. “Curiosamente – ha detto Cutonilli – il fonogramma sull’allarme per il Fronte popolare della Palestina non arriva nei fascicoli dell’istruttoria bolognese. Noi lo scopriremo solo tre decenni dopo”.

Il perito Danilo Coppe, nel suo intervento, ha messo a nudo la volontà di difendere una tesi che fa acqua da tutte le parti grazie agli elementi che emergono dal lavoro sotterraneo e continuo di ricercatori, scrittori, giornalisti, accademici. Un lavoro molto complicato e ostacolato in tutti i modi, come ha sottolineato Giordana Terracina, la quale ha ricevuto minacce per essersi interessata al cosiddetto lodo Moro”: “Mi hanno detto che avevo un figlio e che avrei fatto bene a occuparmi di altro…”.

E Danilo Coppe è stato un perito inascoltato dai magistrati. “Il quesito che mi fu posto dalla Corte d’Assise di Bologna – ha raccontato Coppe – era non solo legato a stabilire la natura dell’esplosivo usato alla stazione ma anche a trovare correlazioni con le altre stragi e ho avuto accesso agli atti che riguardavano tutto il periodo degli anni di piombo. Ebbene quasi tutte le perizie tecniche di quegli anni erano fortemente viziate da errori. L’idea che ci siamo fatti è che non c’è nessun filo conduttore nella metodologia costitutiva degli ordigni e poi ci siamo domandati perché in alcuni casi si trovava succo di mela e si riportava che era succo di pera. Viene da pensare male sotto l’aspetto di depistaggio ma in realtà noi abbiamo più riscontrato degli errori macroscopici di metodo. Non c’è filo conduttore nella tipologia degli esplosivi”.

”Certe cose vengono completamente ignorate – ha aggiunto – come le risultanze che sono arrivate da Bologna, dove le quantità di esplosivo erano la metà, e quindi era possibile un bagaglio trasportabile anche da una donna. Oppure che la famosa Maria Fresu non era la vera Maria Fresu. Insomma, c’erano tanti elementi che mi aspettavo avessero un’influenza maggiore, ma questo non c’è stato”.

Sono quindi intervenuti il perito genetista Emiliano Giardina, lo scrittore e storico Vladimiro Satta  e lo scrittore Francesco Rovella, che si è soffermato principalmente sulle rivelazioni di Taviani sulla strage di Piazza Fontana. Affidate al giornalista del Manifesto Andrea Colombo le conclusioni. Materia complessa, incandescente, ma in fondo la prima cosa da fare – ha detto Colombo – è pretendere “che la magistratura cerchi la verità su Bologna. Negli anni Novanta è stato possibile, con il comitato ‘E se fossero innocenti’. Bisogna riprendere quel percorso”.

 

 

 

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