Si stringe il cerchio intorno a Putin: a Mosca è scontro aperto tra falchi e colombe sulla guerra

28 Mag 2022 15:42 - di Lorenza Mariani
Putin

Il cerchio intorno a Putin e ai falchi della guerra si stringe sempre di più. Proporzionalmente, cresce il malcontento di chi, e non da oggi, vede nell’incalzare della guerra – con le perdite militari e gli esborsi economici che comporta – il rischio di un progressivo isolamento internazionale che la Russia si ritrova già ad affrontare. Non è un caso allora se, proprio oggi, il Washington Post torna ad affrontare la vexata quaestio del malcontento serpeggiante in casa, con la Russia alle prese con crescenti segnali di scontento per l’invasione dell’Ucraina, che emergono sempre più in superficie. Sottolineando come, da una parte vi siano i falchi che reclamano un atteggiamento più aggressivo. E dall’altra, quanti sono contrari all’intervento armato.

Il rebus di Putin tra falchi e «segni crescenti di resistenza»

E allora, fra i «segni crescenti di resistenza», la testata d’oltreoceano cita i 115 membri della Guerra nazionale licenziati per il rifiuto di partecipare all’invasione. Le dimissioni del diplomatico Boris Bondareve. Le parole di Leonid Vasyukevich, deputato comunista di Vladivostock, che ha chiesto pubblicamente di cessare la guerra «o avremo più orfani nel paese». Insieme a loro, un piccolo ma crescente numero di alti funzionari del Cremlino, che sta mettendo in dubbio la decisione di Putin di continuare il conflitto e rinfocolare i venti di guerra. Sempre più convintamente vicini alle posizioni critiche di una parte dell’intelligence russa e di una fetta di oligarchi e di magnati d’industria convinti che le accresciute tensioni internazionali lasceranno l’economia del Paese in stand by. La sua sicurezza compromessa. E la sua influenza globale irrimediabilmente danneggiata.

I falchi fanno leva sulla determinazione dello Zar a proseguire con la guerra

Dall’altra parte degli scettici, invece, ci sono i falchi. Come quelli del gruppo di veterani che la settimana scorsa hanno diffuso un appello al presidente russo Vladimir Putin perché invii più truppe in Ucraina, descrivendo come umiliante il ritiro dalle regioni di Kiev e Cernihiv. E accusando il Cremlino di «totale mancanza di competenza professionale». Una fazione convinta a far eleva sulla determinazione di Putin a portare avanti la lotta, anche se praticamente da subito il Cremlino ha dovuto ridurre le sue ambizioni da una veloce, agile e ampia conquista di gran parte del Paese a quello a cui la guerra a Kiev si è ridotta in queste ultime settimane: un’estenuante battaglia per la regione del Donbas a est dell’Ucraina.

Putin bloccato tra “due mondi”

Putin, insomma, «è bloccato fra due mondi», come segnala il WP. E come rilevano fonti russe. E per lui diventa sempre più difficile mantenere intatta la sua reputazione. Sia che schiacci l’Ucraina. Sia che si ritiri. E naturalmente «nessuno è contento», ha scritto su Telegram Tatiana Stanovaya di R. Politik, un gruppo di consulenza politica basato a Parigi. Anche perché – e su questo le due posizioni contrapposte convergono in un certo senso –- a questo punto accontentarsi di meno lascerebbe comunque la Russia vulnerabile e debole di fronte alla reazione compatta dei paesi membri della Nato.

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