Sgominata la piazza di spaccio Tor Bella Monaca: a capi, pusher e vedette, condanne per 150 anni di carcere
La grande piazza di spaccio nella borgata romana di Tor Bella Monaca sgominata con condanne per oltre 150 anni di carcere inflitte a una trentina di imputati. Questa la sentenza emessa oggi nel processo con rito abbreviato nato dall’inchiesta che aveva portato ad azzerare i vertici della mastodontica organizzazione criminale capitolina. Per questo, anche le indagini e le operazioni di polizia – come la fase processuale – ha richiesto tempo, un imponente schieramento di risorse e di mezzi. Un lavoro che oggi, i numeri delle condanne e dei reati (oltre che degli imputati al banco) sentenziati, spiegano e giustificano l’ingente mole di provvedimenti emessi. Di verdetti annunciati. E di anni di pena comminati.
Sgominata la piazza di spaccio Tor Bella Monaca: condanne per oltre 150 anni di carcere
Le indagini, svolte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati. E coordinate dai procuratori aggiunti della Dda Ilaria Calò e Michele Prestipino, avevano portato a eseguire cinquantuno misure cautelari. 44 in carcere e 7 ai domiciliari. Le accuse contestate, vanno dall’associazione armata finalizzata al narcotraffico, al sequestro di persona aggravato dal metodo mafioso. Fino all’attribuzione fittizia di valori. L’inchiesta, nata anche grazie alle dichiarazioni fornite da due collaboratori di giustizia che avevano fatto parte in passato dell’organizzazione, aveva permesso di ricostruire i ruoli dei vari sodali all’interno dell’organizzazione. Con a capo tre fratelli che gestivano l’attività della piazza di spaccio che si trova su via dell’Archeologia.
Pusher, vedette collaboratori: ecco come era organizzata la piazza di spaccio di Tor Bella Monaca
Una piazza che non “dormiva mai”. E dove pusher e vedette si alternavano in strada h24 con rigide turnazioni in attesa dei numerosi acquirenti. Mentre i “collaboratori” avevano invece il compito di rifornire e controllare pusher e vedette facendo da anello di congiunzione con i vertici dell’associazione. Un’organizzazione capillare. Strutturata su scala gerarchica. Militarmente allestita, con ruoli e protocolli scrupolosamente attenzionati e seguiti. Un apparato che gestiva ingenti quantità di droga. Cocaina. Ma anche eroina e hashish, che chi di dovere e di turno doveva nascondere nei posti più disparati. Come ad esempio nei serbatoi dei veicoli in sosta. In cantine occupate abusivamente e munite di inferriate. Sotto le piante delle aiuole.
Gravissime punizioni a chi sgarrava…
Ingenti i mezzi e gli uomini dispiegati sul campo. Cospicui i proventi che arrivano dal territorio. Le indagini, allora, non a caso hanno consentito di appurare come il giro d’affari fosse di circa 15-20mila al giorno. Pari all’incirca a 600.000 mensili. Lauti guadagni che consentivano a chi si trovava al vertice, o in un ruolo di comando, di punire severamente chi sbagliava. e le indagini hanno appurato anche in cosa consistevano queste “punizioni gravissime”. Tanto che, si è arrivati a registrare veri e propri sequestri di persona dove gli associati infedeli, e addirittura i loro familiari, sono stati sequestrati per poi venire brutalmente picchiati.