20 anni di euro, Feltri: «Fu una fregatura, ma sembrava che si celebrasse l’Immacolata Concezione»

3 Gen 2022 9:27 - di Gabriele Alberti
venti anni di euro Feltri

Vent’anni di euro e sentirli tutti.  Si parla di quella moneta unica negli intenti, ma capace di creare divisioni e nuove povertà di ogni ordine e grado. “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più”. La frase (pronunciata nel 1999 dall’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi) è ormai entrata nelle pagine dei libri di storia. La realtà, dopo 20 anni, pare però  decisamente diversa. Si lavora uguale (se si lavora meno è perché purtroppo alcune attività non ci sono più o hanno delocalizzato), si guadagna uguale, ma si spende di fatto di più perché è aumentato il costo della vita. Ecco perché i 20 anni dell’euro che si celebrano in questi giorni,  si presentano con tante ombre e poche luci. Era il 1 gennaio del 2002 quando l’euro iniziò a circolare con banconote e monete nelle tasche dei cittadini di 12 Paesi dell’Unione europea. Molti i peana in questi giorni sui grandi giornali, gonfi di reterica e trionfalismi di maniera. Per questo il commento di Vittorio Feltri che dice pane al pane e vino al vino si distingue per contrasto e realismo.

Venti anni di euro, Feltri: “Ero pessimista e non sbagliavo”

Il direttore editoriale di Libero ne parla come di uno choc di fronte al quale ancora fatichiamo a riprenderci. “Venti anni sono lunghi da passare, ma non bastano a farci dimenticare lo choc dell’entrata in vigore della moneta unica, alla quale ci siamo dovuti abituare volenti o nolenti. A quel tempo collaboravo con Panorama, quando era un periodico importante. Il direttore mi inviò a Bruxelles per descrivere i festeggiamenti. Invece dell’euro sembrava che si celebrasse l’Immacolata Concezione. I presenti alla manifestazione furono inondati da un fiume di retorica europeista. Si diceva che eravamo in procinto di entrare nel paradiso terrestre. Io ascoltai tutti i pistolotti caramellosi delle cosiddette autorità e ne riferii nel mio scettico reportage”. Feltri parte dal suo caso personale, ma l’esempio è calzante: “Ora sono avvezzo all’euro e non brontolo più. Ma al suo esordio ero schifato e spiego i motivi. All’epoca avevo un stipendio invidiabile, 30 milioni di lire, e mi sentivo abbastanza ricco. A un certo punto il mio compenso si trasformò in 15 mila euro, ed ebbi la sensazione che avrei avuto le pezze sul sedere. Ero pessimista e non sbagliavo di tanto. Infatti dalla sera alla mattina, i prezzi di ogni merce furono raddoppiati”.

Venti anni di euro: “Nel giro di pochi mesi cambiò tutto”

E’ sotto gli occhi di tutti che  il tenore di vita pro capite di gran  gran parte della popolazione dell’Eurozona, oggi è mediamente più basso rispetto al 1999. La percezione che le cose stavano sfuggendo di mano fu rapida e è dificile negarlo. “Alcuni esempi. Il biglietto del metro a Milano raddoppiò di incanto. Ma fin qui, amen. La pizza, che costava 5 mila lire, all’improvviso la pagavi 4 euro, cioè 8 mila delle vecchie lire”. Nel giro di pochi mesi le tariffe commerciali salivano del cento per cento. “Questa non è una opinione, bensì la realtà. Dirò di più, i poliziotti della mia scorta che fino a poco tempo prima percepivano un salario di un milione e 800 mila euro, incassarono 1000 euro, con i quali a Milano campi sì e no dieci giorni”. Insomma, il giudizio è severo: “Eravamo di fronte a una solenne fregatura”. All’epoca qualcuno ebbe il coraggio di scriverlo anche di fronte agli sberleffi dei “giornaloni”.

Feltri: la nosta risorsa è la rassegnazione

E oggi il giudizio è confermato. “Trascorrono anni, la nostra economia frenata dalla globalizzazione imperfetta, annaspa, ma la colpa della frenata viene attribuita a fattori nazionali, non certo al “miracoloso” euro. Transeat”. La cosa peggiore, forse, è la forza del’abitudine: “La gente si adatta a tutto, perfino ai nostri governi campioni nell’incrementare sistematicamente il debito pubblico: per cui si è bevuta perfino le banconote continentali. E oggi, a distanza di quattro lustri dalla tragedia, avvezzi al peggio, lo abbiamo digerito e il suo amaro sapore ci va giù liscio come olio. Il popolo si adatta a tutto, anche alle peggiori vessazioni e a un dato momento non protesta più”. Analisi amara quella di Feltri. Con un affondo finale: “Abbiamo una grande risorsa: la rassegnazione a vivere in un Paese in cui il popolo è più serio di chi lo guida attraverso un sistema istituzionale barbaro”.

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