Sassoli ci ricasca: invia auguri di Natale “non natalizi” e censura (ancora) la parolina che lo imbarazza
David Sassoli ci ricasca. Verrebbe quasi da dire che davvero, ancora una volta, fatta la legge (e abiurata dopo le opportune recriminazioni e polemiche che ne hanno bocciato arbitrio e presupposti), trovato l’inganno. E così, il presidente del Parlamento europeo, agli sgoccioli del suo mandato a Strasburgo, ha inviato a suoi parlamentari un messaggio d’auguri natalizio, in cui è abilmente evocata – senza essere mai espressamente menzionata – la parola “Natale” che tanto imbarazza, con i suoi riferimenti cristiani, il consesso europeo che l’ex giornalista Rai presiede.
Sassoli e Natale: riesce a mandare un biglietto di auguri… “non nataliziE
Depennato dalle cartoline istituzionali. Cancellato dal vocabolario parlamentare. Messo al bando nei messaggi augurali, il “Natale” e il termine che ne racchiude il significato, uscito dalla porta e rientrato dalla finestra di Strasburgo e Bruxelles, ora è di nuovo all’angolo. Con buona pace di tutti coloro i quali hanno accolto, con stupore prima, indignazione e riprovazione poi, il processo di ostracizzazione linguistica che credevamo stoppato dopo la retromarcia dei primi di dicembre. Evidentemente, quelle linee guida che la Commissione Ue ha dettato e ritirato nell’arco di breve alla fine di novembre scorso, hanno lasciato il segno (e il diktat quanto meno interiore).
Quei generici «auguri di serene festività, felicità e pace»…
E così, nel suo biglietto di auguri destinato ieri ai colleghi del Parlamento, Sassoli si limita a mettere nero su bianco dei generici «Auguri di serene festività, felicità e pace», senza specificare il motivo di quegli auguri. Senza nominare le lettere scarlatte che spiegano e giustificano la festa e il perché di quegli auguri e del messaggio di speranza che invocano per l’amico o il collega di turno. Non sia mai dovessero offendersi i non credenti. O turbarsi i fedeli appartenenti a un altro credo… E allora, nella foto che correda il servizio il presidente uscente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha le stelline (della bandiera europea) alle sue spalle. E le mani rivolte al cielo come quando si recita il “Padre Nostro” durante la Santa Messa. Ma non vi illudete: nessun richiamo all’imminente Natale … oops, forse dovremmo dire semplicemente festività.
Due giorni fa la discussione era stata chiesta dal Ppe
Non a caso, del resto, come riferisce Libero in un suo servizio sul “caso” Ue, «già due giorni fa la discussione era stata chiesta dal Ppe. Con l’appoggio di altri gruppi di centrodestra come Identità e Democrazia (di cui è parte la Lega). In quanto – aveva poi sintetizzato Manfred Weber, presidente del gruppo Ppe – “i cittadini si sono chiesti qual è la ragione di formulare linee guida di questo tipo. Per noi avere un credo è importante. La religione non deve essere spinta solo nella sfera privata. Il dna dell’Europa è cristiano. E due terzi dei cittadini si considerano cristiani”».
La levata di scudi della sinistra europea
Apriti cielo. La sinistra è insorta con una levata di scudi con cui ha ripreso a rivendicare l’urgenza di altre problematiche da seguire e rilanciare. E così, l’eurodeputato spagnolo di centrosinistra, Juan Fernando Lopez Aguilar, ha riportato all’ordine del giorno il fatto che «sarebbe il caso di parlare di povertà, energia, inflazione». Mentre la svedese Alice Kuhnke dei Verdi l’ha presa alla lontana evocando brevi cenni sull’universo ecologista che l’hanno portata a dire: «Dovreste parlare di crisi climatica e diritti delle donne».
Le repliche delle eurodeputate leghiste Mara Bizzotto e Susanna Ceccardi. E non solo…
Per fortuna, però, c’è stato chi, volendo tornare al dibattitto negazionista scatenato dalle abiure lessicali del politically correct, ha voluto con veemenza ribadire attualità e verità delle proprie posizioni. Come nel caso del liberale Dacian Ciolos che ha dichiarato: «Non ho bisogno che la Commissione mi dica se posso pronunciare “Buon Natale”». E quelle delle eurodeputate leghiste Mara Bizzotto e Susanna Ceccardi, per le quali «un’Europa che vieta la parola Natale non è e non sarà mai la nostra Europa». O «l’Europa deve smetterla di rendersi ridicola agli occhi del mondo rinnegando se stessa». A cui si è riagganciato l’appello dell’eurodeputato di centrodestra François-Xavier Bellamy: «È la fine del Natale, dobbiamo salvarlo».
In ossequio ufficioso ai precetti (abiurati) della circolare Ue
Già perché infatti, per quanto rinnegati “in zona Cesarini” i criteri dell’ultima follia imposta dal politically correct che, in nome dell’inclusività, la Commissione europea dettava in una circolare interna di cancellare la parola “Natale” e ogni allocuzione accessoria che ne richiedesse il termine esplicitamente, ancora una volta ieri David Sassoli ha mandato agli altri parlamentari un messaggio di auguri in cui (guarda caso) scompare, neanche fosse un sacrilegio il solo metterla per iscritto, la fatidica parolina che da oltre due millenni è sinonimo di 25 dicembre…
Sassoli si vergogna di pronunciare la parola Natale o il nome di Gesù?
Come se Sassoli si vergognasse di pronunciare la parola Natale o il nome di Gesù, «l’Europa», diceva ieri nel messaggio al Consiglio europeo, «ha bisogno di un nuovo progetto di speranza. Questo progetto può essere costruito intorno a tre assi forti: un’Europa che innova, un’Europa che protegge e un’Europa che sia faro». Peccato manchino le fondamenta stesse dell’Europa che crede: quella cristiana. Perché le radici dell’Europa sono cristiane. E perché cristiane sono le radici di ogni singola nazione che compone il continente europeo.
In difesa delle radici cristiane
Ma, soprattutto, perché bisogna ricordare che – a dispetto dello pseudo messaggio di auguri e speranza mandato da Sassoli – non c’è futuro senza radici. Così come non ci sono edifici senza fondamenta. Perché le radici irrorano e nutrono un organismo. E ne permettono la vita. La crescita. Lo sviluppo. Il futuro. Quando questo organismo è una società umana, allora, le sue radici sono le fondamenta spirituali e culturali. Inutile estirparle: anche solo linguisticamente.