Sanitopoli lucana, assolto l’ex-governatore Pittella (Pd): «Ora Travaglio mi chieda scusa»
Marcello Pittella non le pretende, ma gli farebbe piacere ricevere pubbliche scuse ora che il Tribunale di Matera lo ha assolto dalle accuse che lo avevano coinvolto nella Sanitopoli lucana. Ennesima vittima, da governatore della Basilicata, del “non poteva non sapere” che ha rovinato la vita e la carriera di molti uomini pubblici. Per lui i pm avevano chiesto tre anni di carcere con l’accusa di falso e abuso d’ufficio in materia di nomine e concorsi nella sanità regionale. L’inchiesta sulla Sanitopoli lucana nasce del luglio del 2018 e si rivela un terremoto politico ed esistenziale per il politico ora assolto: arrestato e spedito ai domiciliari, si dimette per l’effetto della legge Severino.
Nel 2018 Pittella era finito ai domiciliari
In più, Pittella è costretto a subire la gogna mediatica che lo travolge fino a fargli dire oggi di essersi sentito come «il mostro da sbattere in prima pagina». Un giornale su tutti: il Fatto Quotidiano. Non per caso, intervistato dal Giornale, l’ex-governatore ha indicato solo il nome di Marco Travaglio ritenuto tra i più attivi, in quei giorni, nella caccia all’untore. Dal principe dei manettari si aspettava addirittura un titolo in prima pagina. E questo perché, ha spiegato Pittella, è «stato il primo a puntarmi il dito contro» e ad aver «utilizzato il suo bazooka verso di me, la mia famiglia e i miei affetti».
«Sulla giustizia dem a rimorchio dei 5Stelle»
Ma Pittella ne ha anche per il suo partito, il Pd, che lo ha piantato in asso nel giorno in cui scattarono per lui gli arresti domiciliari. «Pur non essendo il partito giustizialista di un tempo – sottolinea -, subisce l’influenza del M5S». Parole a prima vista misurate, ma in realtà affilate come la lama di un coltello. Già, dire che Letta va a rimorchio di Conte sui temi della giustizia equivale a delegittimarlo come leader. Sono gli effetti abrasivi della malagiustizia vissuta direttamente. Cambiano le persone. Nel caso di Pittella, lo conferma l’endorsement in favore della candidatura di Berlusconi al Quirinale. «Solo il Parlamento – ha notificato ai dem pronti a speculare sulle traversie giudiziarie del Cavaliere – può decidere se è degno o meno di fare il capo dello Stato».