Reddito di cittadinanza, l’avvertimento del magistrato: «Troppi abusi, la legge va cambiata»
«No», il fatto che i controlli consentano di scoprire (alcuni) furbetti del reddito di cittadinanza non significa affatto che il sistema funziona. Intanto «sotto il profilo amministrativo i controlli sono carenti» e poi i soldi non si recuperano. Quindi, «occorre rivedere la legge», perché «così com’ è lascia spazio a troppi abusi». L’avvertimento non è un qualche “politico insensibile alla povertà” e che “strumentalizza gli abusi”, per dirla come la direbbero i sostenitori della misura, ma il procuratore capo di Napoli Nord, Maria Antonietta Troncone, intervistata dal Messaggero. «Solo con riferimento ai procedimenti trattati dalla mia procura – spiega – siamo arrivati ad accertare l’indebita erogazione di circa due milioni di euro».
L’impossibilità di recuperare i soldi truffati allo Stato
Soldi che lo Stato non rivedrà mai perché «quando ci sono somme grosse sottratte allo Stato procediamo con i sequestri e sa cosa succede? Che quando arriviamo spesso non troviamo più niente da sequestrare». Nel territorio di competenza della Procura di Napoli Nord ricadono comuni come Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa, regno di alcuni dei più noti clan camorristici, e anche quel Comune di Sant’Antimo al centro di un’inchiesta del Messaggero su una truffa da oltre 20mila richieste di sussidio che ruota intorno alla comunità pakistana. Qui dunque, tra pregiudicati e stranieri che non hanno i requisiti di residenza, emerge con particolare prepotenza il tema dell’autocertificazione come base per l’erogazione del reddito di cittadinanza.
Se basta l’autocertificazione per il reddito di cittadinanza
Ed è proprio sul meccanismo a monte della legge che Troncone si sofferma, parlando degli abusi che «derivano dall’assenza di documentazione». «Tutto si regge sull’autocertificazione che consente di sfruttare le debolezze della legge. È uno strumento che, in linea generale, può accelerare il corso delle procedure, ma in questo caso genera abusi». Il magistrato quindi bolla come «inammissibile» che questo consenta l’erogazione del reddito, per esempio, ad affiliati ai clan, ricordando che non c’è nulla di consolatorio nell’emersione di questi casi, rispetto ai quali non si riesce a mettere in atto alcuna azione risarcitoria del danno alle casse dello Stato.
Un sistema che aiuta criminali e furbetti
Troncone, dunque, eliminerebbe «le autocertificazioni». «Ad esempio – chiarisce – si potrebbe imporre la presentazione del casellario giudiziario, prevedere un certificato di residenza, ma anche un certificato storico di residenza. Questo impedirebbe quello che lei ha notato nella sua inchiesta (sui pakistani, ndr) e che noi vediamo molto più spesso nelle indagini: stranieri che non risiedono in Italia da dieci anni con il sussidio di Stato. E questo anche per altre etnie». Se ne evince, insomma, che poche semplici accortezze avrebbero potuto evitare che in questi anni milioni e milioni di euro di reddito di cittadinanza andassero a chi non ne aveva diritto. Eppure nulla si è fatto. E, anzi, le misure adottate sono state così blande, da non aver alcun impatto effettivo.
I filtri sul reddito di cittadinanza? Raccomandazioni non vincolanti
«Possibile che Caf, Inps e Poste non riescano a individuare almeno i furti di identità o le residenze fittizie?», chiede Antonio Crispino, che firma l’intervista, facendo riferimento alla possibilità di un filtro preventivo. «L’Inps ha raccomandato ai Caf di non limitarsi all’autodichiarazione per la residenza degli stranieri, ma di chiedere quella storica, tuttavia è solo una raccomandazione, non è vincolante». Mentre per quanto riguarda le informazioni sui precedenti penali «l’Inps può chiederle poi spetta alle procure valutare». Un percorso piuttosto macchinoso, perché «l’Inps informa le forze dell’ordine, che a loro volta chiedono il nulla osta al magistrato, il quale poi comunica gli esiti degli accertamenti all’Inps». «Solo dopo – chiarisce il magistrato – si possono bloccare i pagamenti. E non sempre. Un ufficio territoriale dell’Inps, al contrario, ritiene di dover aspettare la sentenza irrevocabile prima di sospendere gli accrediti».