I magistrati assolvono due migranti “ribelli” condannati in appello: ribaltone in Cassazione

17 Dic 2021 14:26 - di Redazione
Cassazione migranti

Giudici contro, a suon di sentenze che ribaltano i verdetti precedenti. L’ultima “diatriba” giuridica riguarda il caso di due migranti “ribelli” che si erano opposti al rimpatrio in Libia e su cui la Corte d’appello di Palermo, il 3 giugno del 2020, si era espressa riformando la sentenza assolutoria e condannando i due giovani profughi alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione. Oltre a 52.000 euro di multa. Ritenendo l’approccio del giudice di primo grado «ideologico» sul rilievo che «tali problematiche devono trovare adeguata soluzione nell’unica sede a ciò deputata: ossia quella politica del confronto interstatuale». Ebbene, sempre sul caso in oggetto, oggi la Cassazione chiude la vertenza con un nuovo “ribaltone” processuale. E riformulando, a sua volta, la sentenza precedente della Corte d’appello di Palermo, assolve i due migranti.

La Cassazione assolve due migranti “ribelli” e condanna i respingimenti in Libia

Sentenze definite “ideologiche” e verdetti che prima le ribaltano e poi le riabilitano in nome di un diritto votato all’accoglienza coatta. E così, la Corte di Cassazione ha riformato la sentenza con cui la Corte d’appello di Palermo aveva condannato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale, due migranti soccorsi dal rimorchiatore Vos Thalassa che si erano opposti al rimpatrio in Libia a bordo del mezzo di soccorso. Una sentenza assolutoria che, come anticipato in apertura, va in direzione diametralmente opposta a quella di condanna che la Corte d’Appello di Palermo ha emanato il 3 giugno del 2020.

La Corte d’appello aveva già bollato la sentenza di primo grado come «ideologica»

E in merito alla quale, i legali dei due migranti al centro della vicenda giudiziaria, gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, soddisfatti per l’epilogo che. dichiarano loro stessi commentando il verdetto di terzo grado, è «in linea con in linea con l’orientamento già espresso nella vicenda della comandante Rackete. E, prima ancora, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri contro Italia del 23 febbraio 2012». Una sentenza che, incalzano i due legali, «ribadisce, una volta di più, che le operazioni di soccorso in mare che si concludano con il rimpatrio dei naufraghi in Libia costituiscono una violazione di principio del non refoulement. E violano il diritto delle persone soccorse ad essere portate in un posto sicuro. Dove la loro vita non sia più minacciata. E sia garantito il rispetto dei loro diritti fondamentali».

Il verdetto della Cassazione condanna una volta di più il Belpaese all’accoglienza buonista

Insomma, un verdetto che condanna una volta di più il Belpaese all’accoglienza buonista. Con buona delle strigliate di Draghi alla Ue. Degli allarmi di sindaci e governatori delle città e delle regioni travolte dal flusso ininterrotto degli sbarchi. Una sentenza che, mentre si svolge a Palermo la seconda udienza del processo nei confronti dell’ex capo del Viminale per il caso Open Arms, manda un messaggio chiaro a quei magistrati “dissidenti”. A quei giudici non sempre in linea con il pensiero unico sull’immigrazione “toutcourt”. E che oggi sicuramente non condivideranno l’affermazione espressa dalla Cassazione poco ore fa. Secondo cui «è scriminata (cioè non punibile, ndr) la condotta di resistenza a pubblico ufficiale da parte del migrante che, soccorso in alto mare. E facendo valere il diritto al non respingimento», si opponga alla riconsegna allo Stato libico

 

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