Uccise il compagno violento, assolta anche in Appello. Il legale di Silvia Rossetto: “Sentenza storica”
È stata assolta anche dalla Corte di assise di appello Silvia Rossetto, la 49enne che il 2 settembre di tre anni fa uccise a coltellate il convivente Giuseppe Marcon, nella loro casa di Nichelino, in provincia di Torino. La Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Fabrizio Pasi, ha motivato l’assoluzione della donna sulla base di alcune considerazioni.
«Non c’era nessuno a cui chiedere aiuto» e «non aveva la forza fisica per sottrarsi alla violenza» del compagno, che la stava aggredendo armato di coltello. In quel momento Silvia Rossetto «versava in stato di legittima difesa: il pericolo per la propria incolumità era reale e concreto».
In appello la procura generale aveva sostenuto la tesi dell’eccesso colposo, chiedendo una condanna a un anno e otto mesi. Ma per i giudici quanto accadde in un alloggio popolare di via Juvarra, a Nichelino, è un caso di legittima difesa: in quel momento la donna temeva per la propria vita.
Silvia Rossetto uccise il compagno che la minacciava con un coltello
Come riporta l’edizione torinese del Corriere della Sera, la sera del 2 settembre 2018 la donna, 49 anni, viene svegliata in malo modo dal compagno Giuseppe Marcon, di 65: «Mi tirò giù dal letto tirandomi per i piedi perché andassi al supermercato a comprare il liquido per sturare il bagno». Una lite come tante. La vita di coppia di Silvia e Giuseppe (entrambi erano affetti da disturbi psichici) era scandita da discussioni. Che il loro fosse un rapporto burrascoso e che lui fosse violento lo sapevano in molti: i suoceri, la madre della donna e anche lo psichiatra che li aveva in cura e che aveva segnalato il problema in procura. La sera, intorno alle 19, la situazione degenera. Lui è ubriaco e aggressivo. Rossetto, difesa dall’avvocato Sergio Bersano, ha sempre ammesso le proprie responsabilità: «Eravamo nel cucinino. Giuseppe mi ha afferrato per il collo e mi ha puntato il coltello del pane alla gola. Ho preso qualcosa dal cassetto della cucina, mi sono divincolata sferrando dei calci, poi l’ho colpito». «La sentenza – sottolinea Bersano – è innovatrice per il modo in cui contestualizza, con tratto psicologico, una vicenda maturata nell’ambito della violenza domestica e di genere. Questo approccio rigorosamente attinente ai fatti ha consentito di comprendere appieno che la mia assistita non solo si è difesa, ma lo ha fatto nell’unico modo in cui ha potuto stante il grave pericolo che correva».
Inizialmente il pm Enzo Bucarelli aveva chiesto una condanna a 9 anni per omicidio volontario. Ma il giudice Stefano Vitelli, in primo grado, ha assolto la donna, riconoscendo «le condizioni psicopatologiche dell’imputata, acuite da ansia e angoscia dovute a un’aggressione in atto». La procura ha successivamente fatto ricorso in appello imputando alla donna il reato di eccesso colposo di legittima difesa. Ma anche in questo caso l’accusa è stata respinta dalla Corte e la donna è stata assolta.