Capitano Ultimo racconta la cattura di Riina: «Aveva paura di morire. Ci disse: “chi siete, chi vi manda?”»

27 Ott 2021 15:38 - di Mia Fenice
capitano Ultimo

La cattura di Totò Riina, il 15 gennaio 1993, fu «una battaglia vinta praticando le tecniche del generale Dalla Chiesa, insieme ai carabinieri che erano accanto a me. Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo catturato Riina ma poteva essere un altro e non cambiava niente, quello che conta è la tecnica, il modo con cui si arriva al risultato». È Sergio De Caprio, il “Capitano Ultimo” che mise le manette ai polsi del superlatitante di Cosa Nostra, a raccontare al giornalista Ercole Fragasso le fasi della cattura del capo della mafia, in un’intervista per il blog ercolefragasso.it.

Capitano Ultimo racconta la cattura di Riina

Al momento dell’arresto, racconta “Ultimo”, Riina «aveva paura, aveva paura di morire e diceva chi siete, chi vi manda, non respiro, non respiro, in maniera vile. Mi ha fatto un po’ senso questa sua fragilità».

«”Senso” che  – immagino – non sta per pena», dice l’intervistatore. «No, no, per disprezzo. Dobbiamo però rispettare i prigionieri perché quando uno ha perso è un perdente e quindi è un prigioniero che va rispettato come tale. I soldati rispettano il nemico che ha perso perché rispettano quello che lui non rispetta, la dignità delle persone. Questa è la differenza tra noi e loro», osserva “Ultimo”.

«Sono felice di aver incontrato il generale Dalla Chiesa»

De Caprio, che con l’associazione “I Volontari del Capitano Ultimo” gestisce una casa famiglia a Roma per l’assistenza alle persone più bisognose, dice di sé: «Sono sempre quel ragazzo di quindici anni che ha lasciato quello che aveva per donarsi agli altri senza volere nulla in cambio», dice ancora nell’intervista. «L’ho fatto, sono contento di averlo fatto, sono contento di aver incontrato altre persone che la pensavano come me e che si sono donate senza pretendere nulla in cambio e sono felice di aver incontrato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di aver “combattuto” nel nome della sua cultura, della sua tecnica e di averlo fatto vivere nella “battaglia” – ancora una volta – vincente sui criminali».

 

 

 

 

 

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