Draghi ha una spina nel fianco, Orlando: un ministro deludente e nostalgico di Conte: il retroscena

22 Set 2021 9:11 - di Gabriele Alberti
Draghi Orlando

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando si è rivelato un problema per il premier. Se per Draghi questo autunno  si presenta “controvento” tra scioperi e vari tavoli di crisi aperti è lui ad avere buona parte di responsabilità. La ripartenza tanto conclamata dal cosiddetto governo dei migliori sta solo  nei numeri dell’economia. Che restano inermi se non si affianca la vera questione: fare i conti con il lavoro. E qui entra in ballo il ministro Orlando, che doveva essere uno dei “pretoriani” di Draghi e che invece sta facendo acqua da tutte le parti.

Orlando, “draghiano riluttante”

“Un draghiano riluttante” lo definisce il Giornale: “Ora c’è un ministro che sembra aver deluso le aspettative di Draghi. È Andrea Orlando, uno degli uomini chiave del Pd, vice segretario con Zingaretti e capo della corrente Dems della Ditta. Dems sta per democrazia, Europa e società e non ha mai nascosto la sua vocazione governativa. La compatibilità con le politiche di Draghi avrebbe dovuto essere quasi completa. Ci si sarebbe aspettato di trovare tra i «pretoriani» del capo del governo proprio uno come Orlando e invece ci trovi Brunetta, Giorgetti o perfino Di Maio”. Non tira aria buona nell’esecutivo.

Draghi ha un problema: Orlando “nostalgico del Conte bis”

Invece non è andata così, perché il ministro dem non si è emancipato dal suo ruolo nel partito. “È, come molti nel Pd, un «draghiano» riluttante, nostalgico del Conte bis“.  E questo è un problema. Siamo in ritardo su tutto: “A Palazzo Chigi stanno ancora aspettando il piano sul welfare e, come racconta Giuseppe Colombo su Huffington Post, sono rimasti sconcertati davanti al decreto anti-delocalizzazioni; tanto da affidare la pratica a Francesco Giavazzi, consigliere economico di Draghi. È una sorta di commissariamento…”.

Draghi ha un problema: il Pd

Sono un problema grave i 422 licenziamenti della Gkn di Campi Bisenzio. Draghi da tempo ha chiesto al ministero del Lavoro una riforma del welfare, un piano strategico che vada oltre i vecchi ammortizzatori sociali e non si limiti al reddito di cittadinanza. Nulla di tutto questo è arrivato. E se aggiungiamo  il ritardo per l’attuazione del Pnnr il quadro per Draghi si presenta fosco per i prossimi mesi.  Un quadro preoccupante che chiama in causa anche  Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile. Gli si è chiesto  “un piano per snellire la burocrazia e liberare gli amministratori pubblici dalla paura della firma. Le difficoltà sono tante, ma anche in questo caso si nota una certa mancanza di coraggio nell’uscire dagli schemi tradizionali della sinistra di governo”, leggiamo nell’analisi del giornale diretto da Minzolini.

Più che i rapporti con la Lega su cui puntano i riflettori mediatici, si dovrebbe badare a un malessere più profondo in seno al governo. “Il sospetto è che qualcosa tra Draghi e il Pd non stia funzionando”. La problematica convivenza con Salvini in maggioranza è solo un “alibi”.  In realtà, Enrico Letta  ha preferito rimarcare le sue bandiere identitarie, ius soli e ddl Zan più che fare barricate su lavoro e occupazione.  Sul piano delle riforme richieste e finanziate dai fondi europei del Next Generation il Pd si è spento. Sono guai per Draghi

Lo stallo nell’attuazione dei programmi connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza è l’immagine di come anche un governo a forte trazione «tecnica» stia fallendo su fronti strategici.

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