Afghanistan, bisogna agire prima che sia troppo tardi. Ecco quali pericoli ci sono dietro l’angolo

24 Ago 2021 13:01 - di Enrico Sbriglia

È auspicabile che chi ha la responsabilità della sicurezza stia ponendo in essere tutte le iniziative opportune per preservare l’Italia  dagli enormi rischi che derivano dalla disfatta dell’Occidente in Afghanistan. Conforterebbe sapere che si stanno considerando i diversi scenari possibili per agire, a prescindere da quanto intenderanno fare i nostri alleati, in primis gli Usa.

Le minacce che dobbiamo temere sono almeno di tre ordini di cose:

  1. una di tipo terroristico, di natura fondamentalista. Potrebbe, anche a breve, essere indirizzata verso i paesi che si erano assunti l’onere di traghettare verso un sistema democratico un così vasto e anche variegato Paese.
  2. una sul versante della lotta alla criminalità organizzata. È presumibile che i Talebani, al di là delle dichiarazioni di facciata che si scrivono sull’acqua, certamente intensificheranno la produzione di oppio. Quindi, inonderanno i mercati del traffico illecito, favorendo il formarsi di nuovi cartelli e gruppi criminali organizzati che, inevitabilmente, entreranno in contatto o in contrasto con quelli già presenti. Il rischio è quello di guerre sanguinarie tra loro. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il board talebano intenda rinunciare a una fonte certa di guadagno.
  3. un’altra ancora è il rischio concreto che tantissimi giovani, soprattutto quelli che abbiano origini medio-orientali e magrebine, emarginati nelle periferie delle città, siano ammaliati dalla possibilità di rafforzare le fila di un esercito di “Senzadio” .

In conclusione, pur non smettendo di dover aiutare quanti, in questo momento, stanno cercando di abbandonare l’infermo dell’Afghanistan – che è frutto anche dell’ignavia europea – sarà da realizzarsi un sistema che sia in grado di assorbire le ondate di disperati veri. Ossia, di donne per davvero minacciate e di bambini che altrimenti diverranno soldati in erba.

Un’ultima riflessione. Attenti alle carceri, fucina tradizionale di ogni terrorismo sanguinario, dove i detenuti, a motivo delle sopraggiunte criticità mal governate, derivanti del rischio Covid, sono inevitabilmente indirizzati all’odio ed all’aggregazione criminale, soprattutto in questi tempi, perché privi di un approccio sano con il mondo del volontariato, della formazione professionale e dello studio, nonché finanche esclusi dalle relazioni con i propri cari, favorendo così le altre “famiglie”, quelle criminali. In quel mondo, la presenza di detenuti che si dicono di religione islamica è rilevante, benché tanti nulla sappiano di scuole coraniche, di sura e versetti, di piccola Jihad e grande Jihad. Spesso si tratta di giovanissimi, ma senza alcuna speranza in Terra, per cui la possibilità di un riscatto in cambio del quale si chieda a loro semplicemente di essere violenti, nel nome di un orgoglio identitario che li renderebbe visibili, può essere dirompente e contagiosa, pertanto occhio e, soprattutto, si investa davvero di più in psicologi, educatori, direttori, di poliziotti penitenziari, nonché si favorisca la presenza di Imam riconosciuti dalle autorità penitenziarie. Insomma, occorre buttare acqua anche sul piccolo fuoco, ove non si voglia che divampi un incendio dalle proporzioni gigantesche e con danni incalcolabili per tutti.

Enrico Sbriglia – Penitenziarista
Componente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Friuli Venezia Giulia
Presidente Onorario del CESP – Centro Europeo di Studi Penitenziari di Roma
Con esperienza di coordinamento e partneriato in diversi progetti europei realizzati in tema di contrasto al Radicalismo Religioso Violento

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