Usa, arriva la lista delle parole proibite dalla neolingua: non si dirà più “schiavo” o “senzatetto”

8 Lug 2021 10:38 - di Adele Sirocchi

Le Università nacquero in Europa nel XII secolo come avamposti di dialettica e di libera ricerca. Ne fa fede la disputa sugli universali di cui fu protagonista il filosofo Abelardo. Con gli studenti che facevano il tifo per l’uno o per l’altro magister, in una dinamica dialettica che era possibile nel “buio” Medioevo e che oggi è molto lontana dall’essere applicata.

Negli atenei ora va di moda la censura del linguaggio. Gli studenti devono uniformarsi alla neolingua. I docenti devono seguire il pensiero unico. Nessuna violazione delle regole del Tribunale del Bene è ammessa. Nelle università anglosassoni è ormai la regola: è di qualche giorno fa la notizia che a Manchester il “comitato per l’uguaglianza, la diversità e l’inclusione” ha distribuito una guida al nuovo linguaggio neutro con relative sostituzioni. Tu o loro / non lui o lei. Persone o individui / non uomini o donne. Colleghi / non signore e signori. Genitore o tutore / non madre o padre. Partner / non marito o moglie. ” Simile l’iniziativa della Brandeys University, ateneo privato statunitense con sede a Waltham, vicino Boston. Qui hanno stilato una lista nera delle parole proibite. Della quale dà notizia oggi Il Foglio.

“Tribù” non si può dire perché usato per “disumanizzare indigeni”. “Uccidetemi” non si può dire, neanche durante le lezioni più pallose o i periodi di studio più lugubri, perché “scherzare sul suicidio sminuisce sia il problema sia le persone che lo stanno prendendo seriamente in considerazione”. Va bandita l’espressione “a occhio e croce” – “rule of thumb” – perché deriva da “una vecchia legge britannica che consentiva ai mariti di picchiare le mogli con un bastone non più largo del proprio pollice, anche se mancano testimonianze scritte al riguardo”. La chiamano la lista del “linguaggio oppressivo”.

Scrive Il Foglio: “Non si può dire “senzatetto” ma “persona senza casa”, non si può dire “schiavo” ma “persona che viene schiavizzata”… Siamo ciechi portavoce di pregiudizi sedimentati da secoli. Ne consegue che anche le espressioni più innocenti affondino le radici nelle peggiori intenzioni, giustificando la loro eliminazione per mezzo di spiegazioni cervellotiche che, pur di evitare il minimo rischio di offesa, danno per scontata o la malafede o l’ignoranza di chi parla. Dentro ciascun termine proibito viene conservato lo stigma di un peccato originale, che nega l’evoluzione del linguaggio. Allo stesso modo è impossibile utilizzare metafore, iperboli o paradossi”.

E’ davvero incredibile: così si spegne ogni capacità evocativa del linguaggio, ogni suo rimando simbolico, ogni sua capacità di creare analogie. Come potrà resistere la poesia a questo lavaggio del cervello? E come non vedere la somiglianza tra questo processo alle intenzioni nell’uso di innocue parole e la caccia alle streghe che imperversò in Europa a partire dal Quattrocento? Una lista delle parole “oppressive” rappresenta in definitiva quanto di più illiberale, intollerante e oppressivo possa esistere.

 

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