Cashback, Draghi rassicura i 5S (per tenerseli buoni): sospensione di sei mesi, poi si riparte…
Draghi rassicura i grillini sul cashback. Ci sarà una sospensione di sei mesi, poi dal gennaio 2022 il cashback riparte. Ma a molti la promessa appare più come un modo per tenerli buoni in questo difficile momento. A quanto apprende l’Adnkronos, il premier Mario Draghi, dopo i malumori dei giorni scorsi soprattutto in casa M5S, nel corso del Consiglio dei ministri avrebbe rassicurato i ministri presenti: il cashback ripartirà dopo la pausa prevista. Si valutano i dati – il ragionamento del presidente del Consiglio – e poi si riparte, la rassicurazione che sarebbe arrivata. La bozza entrata a Palazzo Chigi mette nero su bianco lo stop fino al 31 dicembre con la ripresa dal primo gennaio 2022.
Cashback sospeso
Secondo la bozza del Decreto lavoro i risparmi della misura andranno a finanziare i fondo per la riforma degli ammortizzatori sociali. Per l’anno 2022 è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo, con una dotazione di 1.500 milioni di euro destinato a concorrere al finanziamento di interventi di riforma in materia di ammortizzatori sociali.
Draghi: «Ha un carattere regressivo»
Durante il Cdm Draghi, come riporta l’Adnkronos, ha spiegato le ragioni poste a fondamento della sospensione della misura. «Il cashback – ha affermato – ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori». La maggiore concentrazione dei mezzi alternativi al contante si registra tra gli abitanti del Nord e, più in generale delle grandi città. Con un capofamiglia di età inferiore a 65 anni, un reddito medio-alto e una condizione diversa da quella di operaio o disoccupato. Anche se non esistono a tutt’oggi dati specifici a riguardo, è presumibile che siano queste categorie a trarre i maggiori benefici dal cashback e dai bonus e superbonus collegati.
Accentua la sperequazione tra i redditi
La misura, riporta ancora l’Adnkronos, rischia perciò di accentuare la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche, con una propensione al consumo presumibilmente più bassa. Determinando un effetto moltiplicativo sul Pil non sufficientemente significativo a fronte del costo della misura.
Inoltre, non esiste alcuna obiettiva evidenza della maggiore propensione all’utilizzo dei pagamenti elettronici da parte degli aderenti al Programma. Quasi il 73 per cento delle famiglie già spende tramite le carte più del plafond previsto dal provvedimento. Pertanto, la maggior parte potrebbe ricevere il massimo vantaggio anche senza intensificare l’uso delle carte.
È invece improbabile che chi è privo di carte o attualmente le usa per un ammontare inferiore al plafond possa effettivamente raggiungerlo, perché la maggior parte di loro non può spendere quelle cifre.
Sull’onerosità della misura
In media, le famiglie del quinto più povero dovrebbero infatti aumentare la loro spesa con carte di quasi il 40 per cento. Mentre quelle più abbienti solo dell’1 per cento. Ne sono indice il fatto che le transazioni che hanno raggiunto l’obiettivo previsto per l’erogazione del rimborso (50 transazioni nel semestre) rappresentano solo il 50% delle transazioni totali rilevate e che circa il 40% dei beneficiari ha comunque effettuato un numero di transazioni tale da far ritenere che si tratti di persone già abituate all’uso della moneta elettronica.
Draghi ha anche sottolineato come l’onerosità della misura, pari a 4,75 miliardi di euro, debba essere valutata non solo in relazione ai benefici attesi, ma anche del costo e dell’attuale quadro economico e sociale, che ha visto – nel 2020 – 335mila nuovi nuclei familiari e oltre 1 milione di persone in più entrare in povertà assoluta (dati Istat).
Le valutazioni dell’Istat
A fronte degli effetti regressivi, dei costi e delle criticità applicative, non possono a tutt’oggi stimarsi effetti significativi sul gettito. Al contrario, è probabile che le transazioni elettroniche crescano per effetto del Cashback soprattutto in settori già a bassa evasione, come la grande distribuzione organizzata che, secondo l’Istat, assorbe quasi la metà della spesa al dettaglio, piuttosto che in quelli critici.