Suor Mainetti, massacrata in nome di Satana da 3 ragazze, sarà beata. Ecco che fanno oggi le sue assassine
Fu uccisa in nome di Satana, suor Laura Mainetti. Assassinata nel 2000 da tre ragazze durante un rito satanico. Uccisa con ferocia e determinazione. E che ora, da quanto fa sapere il mensile dell’Osservatore Romano, Donne, chiesa, mondo, per volere di Papa Francesco, sarà beatificata il prossimo 6 giugno allo stadio comunale di Chiavenna, in provincia di Sondrio. La suora, come molti ricorderanno, mentre veniva colpita a morte, chiese a Dio di perdonare le tre ragazze che la stavano uccidendo. Ebbene, quel martirio riconosciuto “in odium fidei”. Ossia: in quanto uccisa “in odio alla fede”, che è oggi motivo della sua beatificazione.
Suor Mainetti, massacrata in nome di Satana da 3 minorenni, sarà beata il 6 giugno
Un caso, quello dell’efferato omicidio di suor Maria Laura Mainetti, all’anagrafe Teresina Elsa Mainetti, che scosse profondamente la comunità di Chiavenna, Dilatando la sua portata di dolore e di orrore in un Paese intero, sconvolto dall’efferatezza e dalla gratuità di quel gesto terribile e inaspettato. Un omicidio, quello di suor Mainetti, compiuto in nome di Satana e deciso per noia davanti a una birra nel bar del paese, come racconterà tempo dopo una delle tre giovani assassine. Tanto che, nonostante siano trascorsi 20 anni da quel delitto, i fatti, quelle carnefici, il ricordo dello strazio e della immensa capacità di perdono di quell’educatrice 61enne delle Figlie della Croce, hanno lasciato una traccia e un vuoto profondi nella coscienza collettiva.
La trappola mortale e poi l’efferato omicidio con 19 coltellate
Madre superiora dell’Istituto dell’Immacolata di Chiavenna: settemila anime al confine con la Svizzera, la religiosa – ricorda Famiglia Cristiana – era nata a Colico, nel lecchese, il 20 agosto 1939, da «una famiglia numerosa che contava, in totale, dieci figli». Una vita dedicata agli altri, la sua, fino al giorno in cui le sue assassine la attirarono nella trappola mortale con l’inganno. Una delle tre killer, sua nipote Veronica, all’epoca dei fatti appena 16enne – oltre che la più giovane del terzetto fatale – le telefonò nel convento di Chiavenna, fingendo di essere rimasta incinta dopo uno stupro. E con la scusa di voler parlare con lei, prima di abortire. Un inganno, solo una ferale bugia per attirarla in strada e poi colpirla a morte. All’improvviso: prima stordendola con un colpo sferrato con un sampietrino. Poi massacrandola di coltellate, con ben 19 fendenti. Un vero martirio, quello inferto alla religiosa, che nei suoi ultimi attimi di vita, proprio qualche istante prima di esalare l’ultimo respiro, chiedeva perdono per le tre giovani mentre ancora la stavano colpendo.
Un delitto perpetrato in nome di Satana… e per noia
Agli investigatori le tre ragazze – una di 16, le altre due di 17 anni – dissero di averlo fatto nel nome di Satana. E per noia, appunto, come confessato da una delle tre omicida della suora, molto nota nella sua comunità per l’impegno e la vocazione che la guidava. Ora sono passati 20 anni a quel brutale delitto, ma l’omicidio ha lasciato un segno profonda nella coscienza di tutti. E così per suor Maria Laura, a cui la comunità della Valchiavenna pensa ancora con affetto e devozione. Relisiosa conosciuta da tutti per la sua bontà e carità, il ricordo è indelebile. Come per il Vaticano, che non ha mai dimenticato il suo sacrificio e il suo impegno. Tanto da aver avviato nel 2005 il processo di beatificazione. Un percorso che approda alla notizia di oggi quando, col riconoscimento del martirio, si apre definitivamente la strada alla gloria degli altari.
Ecco cosa fanno oggi le tre assassine scontata la pena
Per le tre giovani che decisero a tavolino la sua fine, invece, il carcere è un’esperienza finita da tempo. Come riferisce sempre Famiglia Cristiana, infatti, «tutte e tre le ragazze hanno scontato la pena, sia pure con vicende diverse. Veronica Pietrobelli condannata a 8 anni, è uscita dal carcere nel 2004 insieme a Milena De Giambattista». Ma ha proseguito per un periodo il suo percorso di recupero, pur non essendo un obbligo di legge. Un cammino «intrapreso in una comunità nel Veneto», servendo ai tavoli come cameriera, perché: «Ha sempre detto che il suo sogno era lavorare nel mondo della ristorazione». Ambra Gianasso, conclude infine Famiglia Cristiana, «considerata all’epoca la mente del gruppo e del delitto, venne condannata a 12 anni e quattro mesi di reclusione. Dopo alcuni anni di carcere è passata al regime di semilibertà. Nel frattempo ha proseguito gli studi e si è iscritta alla facoltà di Giurisprudenza. Quindi è tornata in libertà anche lei»…