Omofobia, Zan non la racconta giusta: nel 2013 voleva mettere il bavaglio ai cattolici in Rai

6 Mag 2021 8:47 - di Sveva Ferri
zan censura

Le proteste, il richiamo alla Commissione di vigilanza Rai, la stigmatizzazione del servizio pubblico che si fa «megafono» di certe «tesi» senza «alcun contraddittorio». Insomma, c’erano tutti gli ingredienti della censura nell’intervento che Alessandro Zan, padre dell’omonimo ddl contro l’omofobia, fece contro la partecipazione dell’avvocato Giancarlo Cerrelli, all’epoca vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, nei dibattiti Tv in cui si parlava del ddl Scalfarotto, antesignano dell’attuale ddl Zan. A scovare il precedente increscioso per uno che oggi si straccia le vesti sul “caso Fedez”, è stato il giornale Tempi, che ha ricordato la vicenda in un articolo intitolato «Quando Zan chiedeva alla Rai di censurare i cattolici».

La censura di Zan verso i cattolici

I fatti risalgono a quando il dibattito sulla legge contro l’omofobia ruotava intorno al ddl Scalfarotto, uno dei vari poi riassorbiti dall’attuale ddl Zan. Era il 2013. La Rai ebbe l’ardire di invitare a parlarne, oltre a Fabrizio Marrazzo del Gay Center, anche Cerrelli, che aveva una posizione critica su quella legge. «Possibile che in Rai se si parla di gay bisogna ricorrere per forza ad ospiti ultra cattolici e omofobi? Su questo chiederò l’intervento della Commissione Parlamentare di Vigilanza. È impensabile che il servizio pubblico si faccia megafono di tesi, teorie e personaggi che esprimono opinioni discriminanti e che si scagliano contro la discussione in corso in Parlamento, senza alcun contraddittorio politico», tuonò con una nota Zan, allora deputato di Sel.

Il diritto di parola solo a chi conviene

«Per caso – aggiunse sempre allora Zan – quando si parla di questioni legate al cattolicesimo la Rai invita rappresentanti della comunità gay per esprimere un’opinione?». Stefano Zurlo, riprendendo a sua volta sul Giornale di oggi l’articolo di Tempi, fa notare come proprio questa «domandina» sia «suggestiva», ma, «se si riflette, chiude a doppia mandata la complessità e la ricchezza dell’evento cristiano dentro il ghetto di una speciosissima questione di genere. Peggio di una discriminazione». Tempi, invece, ha sottolineato come quella postilla rappresenti «l’ennesima prova che l’intento di Zan e soci è questo: non importa chi siate o cosa pensiate, ma avete diritto di parola solo se siete d’accordo con noi».

Il bavaglio dei “buoni”

Oltre a Zan, ha ricordato ancora Tempi, anche «il gruppo Lgbt del M5s» chiese all’allora presidente della Commissione vigilanza, il grillino Roberto Fico, «di “suggerire” ai vertici Rai di invitare ospiti più “accomodanti” con il ddl Scalfarotto». Successivamente, il vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani vide saltare la sua partecipazione a Domenica In, dove inizialmente era stato invitato. «Coincidenze? Rai lottizzata da partiti? Vai a saperlo», ha commentato Tempi, mentre tutto, a partire proprio dal “caso Fedez”, indica che se fosse accaduto a parti invertite sarebbe successo un putiferio.

 

 

 

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