“Arancia meccanica” compie 50 anni: ecco perché il film cult di Stanley Kubrick è un’opera senza età
“Arancia Meccanica” compie 50 anni. Mezzo secolo per il capolavoro di Stanley Kubrick, un racconto di celluloide che, tra citazioni cinefile, analisi livida e visionarietà spregiudicata, è diventato cruento – e al tempo stesso lucido e sofisticato – manifesto contro la violenza. L’opera simbolo della ribellione verso il sistema. Come tutti sanno, il film, il cui titolo originale è A Clockwork Orange, è tratto dal libro di Anthony Burgess del 1962. Un volume che il film del maestro statunitense ha nobilitato in chiave onirica e surreale e rilanciato anche grazie alle polemiche che ha scatenato e all’intervento in molti Paesi della censura, scattata per le scene di violenza cruda e agghiacciante. Un titolo divenuto subito “cult” per un’intera generazione. Un plot che mescola uniformemente diversi generi cinematografici, entrato di diritto nell’immaginario collettivo di sempre. Oltre che uno dei film di maggiore influenza sul cinema mondiale tra quelli realizzati dagli anni Settanta ad oggi.
“Arancia meccanica” compie 50 anni. Un capolavoro sempre attuale
Ma anche la pellicola che ha incastrato il suo protagonista, un intramontabile Malcolm McDowell, nel ruolo di Alex, il cattivo ragazzo completamente fuori di testa, carnefice e al tempo stesso vittima di un sistema che ha risucchiato Alex e i drughi (gli amici e compagni di scorribande feroci e missioni brutali). Un sistema che li ha frullati. Espulsi come corpi estranei. E poi riabilitati con trattamenti sanciti da sperimentali politiche di governo, in grado di prospettare la “guarigione dal male”. «Avevo 27 anni quando mi ritrovai sul set dell’Arancia meccanica di Kubrick. In tuta bianca. Bombetta nera e bastone alla Charlot. Ciglia finte sotto l’occhio destro. La tenuta da combattimento di Alex – racconta l’attore in un’intervista al Corriere della sera – il cattivo ragazzo fuori di zucca come “un’arancia a orologeria”. Secondo il titolo del romanzo di Burgess ispiratore di un film che ha segnato la storia del cinema. E anche la mia».
Una riflessione visionaria e sconvolgente sull’ultraviolenza del potere
Un’esperienza che, riletta oggi, 50 anni dopo, fa dire a Malcolm McDowell che: «Più che Alex ho amato Kubrick. Un vero genio anche se, mentre lavoravo con lui, non me ne rendevo conto. Mi aveva chiesto di partecipare al processo creativo scrivendo delle mie battute e improvvisando. In lui c’era una vena di humour grottesco. Per il resto però – ricorda il protagonista di Arancia meccanica – sul set era molto misurato. Non alzava mai la voce. E trattava la troupe con rispetto. Ma lo infastidivano le regole sindacali. Non capiva perché a un certo punto tutti se ne andassero a casa, mentre lui sarebbe rimasto all’infinito. Richiedeva molto agli attori, era anche duro», aggiunge l’attore che ha due nuovi film in uscita: «In Gran Bretagna ho appena girato una serie comica con Nick Frost, Truth Seeekers, un Ghostbusters in salsa britannica. E poi c’è il film di Davide Ferrario, Blood on the Crown, girato con Harvey Keitel, sulla rivolta di Malta contro gli inglesi».
Sulla perdita di identità e di umanità delle menti soggiogate
Una riflessione sconvolgente sull’ultraviolenza che, declinando il romanzo distopico di Burgess alle sequenze visionarie del film, Kubrick ha illustrato a tinte livide e colori fosforescenti. Con toni apri e immagini dure. Tutto funzionale al racconto della perdita dell’individualità da parte dell’essere umano, sopraffatto da un potere esterno, invisibile. Controllato e soggiogato da una forza occulta che controlla le menti. In un continuo rimando e scambio di ruoli in cui, le vittime della ferocia si rivelano anch’esse delle belve fuori controllo nel momento in cui ne hanno occasione. In questo modo la violenza diventa un circolo vizioso dal quale non si può uscire. E contro il quale nulla possono, persino Alex e i suoi amici drughi…