8 marzo, la donna rischia di scomparire sotto i colpi della neolingua femminista

9 Mar 2021 9:26 - di Redattore 54
8 marzo donna

Il secondo 8 marzo in tempi di pandemia, come un anno fa, ha portato solo una fiacca retorica priva di effetti. Eppure ci sarebbe bisogno, in occasioni come la Giornata della donna, di denunciare con forza cosa sta accadendo alla donna, a tutte le donne, la cui essenza è minacciata da tre fattori: la cultura della lagna, il neofemminismo, le teorie gender.

Usare la parola donna diventerà un atto discriminatorio?

Tra quanto tempo dire di essere una donna diventerà discriminatorio? O non siamo già in questa fase di annullamento dello specifico femminile? Una fase in cui, come asserisce Michel Onfray, gli esseri umani sono ridotti ad “archivi culturali da plasmare”. Esseri neutri, senza sesso, né religione né patria, perfetti manichini manipolabili dal mercato o tragicamente votati all’infelicità, come sottolineava il filosofo Costanzo Preve.

Sanremo e il trasformismo di genere

L’imposizione della non identità gender fluid passa anche attraverso spettacoli pop come Sanremo, con i suoi quadri inneggianti al trasformismo sessuale di cui Achille Lauro è stato protagonista. Con i fiori rifiutati dalle artiste donne e poi distribuiti a tutti in nome di una conformistica parità. Anche lì sono riecheggiati dunque i rimproveri che una Michela Murgia faceva allo psicologo Raffaele Morelli: il femminile non esiste e, se esiste, va cancellato.

Grande alleata di questo disegno teso ad annullare la donna e il concetto di donna così come la civiltà occidentale lo ha elaborato è la cancel culture, la cultura del politicamente corretto. Si parte dai giocattoli, per scardinare fin dall’infanzia l’idea di uomo e donna biologicamente determinati. La Hasbro cambia nome ai popolari Mr e Mrs Potato, il gioco si chiamerò solo “testa di patata”, e il bambino potrà immaginarsela come meglio crede, col rossetto e i baffi, con la barba e la parrucca bionda, come Conchita Wurst.

Lo stereotipo di genere

Ogni volta che si attacca un cosiddetto “stereotipo di genere” si colpisce l’idea di donna, si ferisce la femminilità, la si considera offensiva. Sulla donna non può esercitarsi il body shaming perché non si può notare alcuna sua caratteristica. Lei non è più una lei ma un essere neutro. Guai al libro di testo che assegna un ruolo alla mamma e uno al papà. Bisogna fare spazio all’allegro disordine dei ruoli. Barbara Paolombelli usa il verbo accudire per evocare il “lavoro di cura” delle donne? Orrore. Le donne non sono portate per natura a dedicarsi all’altro da sé perché le donne in natura non esistono: basta non dare loro bambole per giocare. E’ terribile che si spacci come avanguardia di pensiero questa robaccia desunta dalla Bibbia femminista di Simone de Beauvoir, che uscì nel 1949. Eppure è così.

L’uccisione della maternità

Il cerchio si chiude quando il mondo Lgbt aggredisce la Rowling perché secondo lei la donna è una “persona che ha le mestruazioni”. Anche pronunciare la parola “donna” è ormai considerato discriminante. Figuriamoci la parola “madre”. La maternità è stata già in parte uccisa dall’invasione della tecnoscienza nel campo della procreazione, dove prima la donna regnava incontrastata. E’ seguita la sua svalutazione epistemologica: la maternità non è più arricchimento ma ostacolo. Solo la “gestazione per altri” (leggi utero in affitto) merita l’aureola di un atto di generosità mentre è solo l’ultimo, e definitivo, colpo inferto all’idea di madre.

Il nuovo reato di sessismo

Ogni percezione della differenza tra uomo e donna è diventata ascrivibile al nuovo reato di sessismo. Una febbre inquisitrice caratterizza il neofemminismo che ha la missione di deturpare la lingua sedimentata, di imporre un nuovo lessico ideologizzato e in ultima analisi di uccidere ogni forma di eros. Tra i due sessi persiste così solo una relazione di dominio, di utilizzo dei corpi che porta nel maschio al prevalere della forza annientatrice e conduce al femminicidio.

Berenice Levet: liberiamoci dal femminismo

Se con il femminismo antico, diceva Erica Jong, abbiamo conquistato il “diritto di essere esauste” (il lavoro che si somma al lavoro domestico), col nuovo femminismo abbiamo conquistato il diritto alla denigrazione dell’essere donna.  Sarebbe ora di liberarsene, come scriveva ormai anni fa una scrittrice francese, Berenice Levet, i cui libri purtroppo non sono stati tradotti in Italia. Un’importante missione per una destra che troppo spesso ha ridotto i suoi orizzonti all’ironia contro le “boldrinate” mentre è a livello culturale che bisogna agire, senza perdere altro tempo.

 

 

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